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lunedì 15 giugno 2020

Plumcake alla barbabietola // Se non è rosa fiorirà lo stesso

Vi mancavano i miei titoli da scoppiata, dite la verità...

Ho deciso di proporvi questa ricetta un po' perché le foto dei primi tentativi hanno un avuto discreto successo su Instagram, sicuramente per il colore vivo dell'impasto, e un po' perché vorrei introdurvi dolcemente ad alcuni temi che mi stanno particolarmente a cuore e ho pensato che questo potesse essere un ottimo inizio.

Il titolo fa parte della strategia. Seguitemi...

Oltre ad avere una verdura (che io amo particolarmente) nell'impasto, questo plumcake è senza glutine e senza zucchero.
Vi vedo che alzate gli occhi al cielo: “Mo' pure questa con 'sto glutine e sto benedetto zucchero! E senza questo e senza quello...e pure senza de me, grazie!”
E via, verso un altro blog senza senza!

Ma aspettate, se potete. 
Se fin'ora le mie ricette vi sono sembrate sfiziose e magari ne avete provata qualcuna che vi è venuta discretamente...restate ancora un po'.


I miei senza sono motivati dal mio annoso problema di pelle che nell'ultimo anno sono riuscita a tenere (più o meno) sotto controllo evitando alcuni alimenti che ho scoperto essere per me infiammatori.
A breve consulterò un altro professionista che dovrebbe aiutarmi in questa battaglia e la mia speranza è di poter finalmente guarire alla radice, per poi poter tornare a reintrodurre la maggior parte delle cose che ho tolto...pane fatto in casa aspettami!!!!!!

Detto ciò, come ho sempre pensato, se il viaggio va fatto, meglio renderlo piacevole.
Ed è questo che si propongono le ricette che vi regalerò prossimamente: restare a dieta senza punirsi, guarire senza rinunciare ad una coccola...senza tristezza.

Vi ho convinto?
Forse ancora no...

Allora vi dico che questo dolcetto sa di pasta di mandorle all'arancia, è morbidissimo, umido al punto giusto e la glassa che lo ricopre tiene testa alle ganache al cioccolato bianco più burrose mai assaggiate.

Meglio?


Vi spiego la ricetta e non ne parliamo più:

Per un plum cake da 8x15cm o 6-8 muffins
  • 100gr di barbabietola cruda pulita e tagliata a dadini
  • 1 cucchiaino di agar agar (in polvere, 2 se in fiocchi)
  • 1 cucchiaio di gelatina (colla di pesce) in polvere (facoltativa)
  • 2 uova intere
  • 50gr di farina di mandorle
  • 30gr di farina di cocco (non il cocco rapè ma farina di cocco)
  • 10gr di amido di tapioca (o di mais o fecola di patate)
  • 1 cucchiaino abbondante di lievito per dolci
  • 3 cucchiaini di Truvia (o dello zucchero o il dolcificante che preferite)
  • 30gr di yogurt di cocco
  • 40 gr di olio di cocco sciolto
  • 2 cucchiai di latte vegetale
  • il succo di ½ limone
  • la scorza di un'arancia
  • qualche goccia di aroma di mandorla


Prima di passare al procedimento davvero molto semplice, vorrei spiegarvi una paio di cose sugli ingredienti usati.

Truvia (eritritolo con Stevia): non è necessario alla riuscita della ricetta, quindi se per voi il senza zucchero non è fondamentale, sentitevi liberi di usare quello che preferite (normale, di canna, di cocco) o il dolcificante (miele, sciroppo d'acero, sciroppo d'agave) che usate abitualmente e di aumentarne la dose (fino a 4-5 cucchiaini), occhio però se scegliete di utilizzare un dolcificante liquido come lo sciroppo d'agave o il miele: potreste dover omettere o ridurre la quantità di latte che viene data in ricetta.

Latte vegetale e yogurt di cocco: io li utilizzo perché ormai da tempo non consumo più latticini, ma se voi li utilizzate, via libera a latte e yogurt tradizionali.

Gelatina in polvere: è un'aggiunta che ho iniziato a fare di recente. Non è strettamente necessaria, dato che il lavoro più importante sulla consistenza lo fa l'agar agar (che agisce come la gomma di xantano o guar negli impasti senza glutine, ma con meno controindicazioni), ma trovo che la consistenza finale ne giovi. Io la aggiungo più che altro perché ho scoperto che aiuta a riparare le pareti intestinali e dello stomaco, oltre che a fornire un apporto in più di proteine, cosa piuttosto utile se state tenendo sotto controllo il vostro consumo di carboidrati e la glicemia.


Barbabietola: non vi spaventate! Se vi preoccupa il sapore, vi giuro che non si sente minimamente. Confesso che qui l'ho usata principalmente per dare colore all'impasto (che non è proprio rosa shocking come avrei voluto, ma trovo abbia un bellissimo colore comunque) anche se in realtà regala umidità, consistenza e anche una certa dolcezza al prodotto finale. 
Inoltre pensateci un po': state mangiando della verdura, con tutte le sue proprietà (se non ricordo male protegge il fegato e aiuta la produzione di bile), mentre credete di mangiare un dolce.
Cosa volete di più!?

Succo di limone: l'ho aggiunto per aiutare la barbabietola a mantenere il suo colore. E' un processo chimico con il quale non vi annoierò -sospiro di sollievo-, ma se siete audaci e volete sperimentare, potreste eliminare del tutto l'aggiunta del latte e aumentare la dose di succo di limone arrivando ad un limone intero e magari aggiungendo anche un cucchiaino di aceto di mele, come nella red velvet. L'acidità aiuta a mantenere il pigmento rosso della barbabietola più vivo, evitando che in cottura si ossidi troppo. 

Fatemi sapere se sperimentate!



Ma veniamo finalmente al procedimento: 

Nel bicchiere del frullatore ad immersione, mettete la barbabietola a tocchetti piccoli, le uova, lo yogurt, la scorza d'arancia, il succo di limone e il dolcificante.

Frullate per bene, fino ad ottenere un composto omogeneo. 

In una ciotola capiente mettete le farine, l'amido, il lievito, l'agar agar, la gelatina se usata.

Mescolate e unite l'olio di cocco in modo da farlo assorbire bene alle polveri.

Sempre mescolando, unite il composto di uova e barbabietola e l'aroma di mandorle.

Amalgamate bene fino ad ottenere un composto uniforme. 
Aggiungete i due cucchiai di latte se necessario.

Trasferite il composto nello stampo precedentemente unto e foderato con carta forno e cuocete a 180° per circa 25-30 minuti (anche meno se optate per dei muffin) o finché uno stecchino inserito al centro non uscirà pulito.

Fate raffreddare una decina di minuti prima di sformare, ma non lasciatelo raffreddare nello stampo troppo a lungo: essendo un impasto molto umido tende a creare condensa.
Lasciate raffreddare completamente prima di glassare.



Per la glassa al cioccolato bianco vegan:
  • 4 cucchiai (circa 60gr) di burro di cocco
  • 4 cucchiai (  “  ) di burro di anacardi
  • 2 cucchiai (circa 30gr) di olio di cocco sciolto
  • 2 cucchiai (  “  ) di burro di cacao sciolto
  • 1 cucchiaino scarso di Truvia in polvere (o il dolcificante che preferite: vedi sopra)
  • ¼ di cucchiaino di essenza di vaniglia (o vaniglia in polvere o una grattata di fava di Tonka
Per la decorazione (facoltativa):
  • una manciata di noci rosse
  • 2-3 boccioli di rosa secchi
  • un cucchiaino di polline
A parte il dolcificante, per il momento, non vi posso dare consigli per sostituire nessuno degli ingredienti, perché credo che contribuiscano tutti al sapore finale che è davvero sorprendente. 
...ma vi saprò dire più avanti.

In ogni caso il procedimento è davvero molto semplice, vi basterà unire tutti gli ingredienti e mescolare bene, magari con una piccola frusta, fino ad ottenere un composto omogeneo.
Trasferite la ciotola in frigo, ma non vi allontanate. 

Ogni 5-10 minuti controllate la consistenza e dategli una mescolata (tenderà a solidificarsi dai bordi). Dovrete farlo due o tre volte per raggiungere la consistenza spalmabile che ci serve.



(Se non vi interessa utilizzarla come glassa, trasferite il composto direttamente in un contenitore rettangolare e fatelo solidificare in frigo per poterlo poi tagliare a cubetti. Esattamente come nella ricetta del fudge vegano che vi ho dato tempo fa e che può diventare anch'esso un'ottima glassa, se questa non è nelle vostre corde ) 

A questo punto riprendete il vostro plumcake, o i vostri muffins, e glassateli con la crema ottenuta.
Decorate con le noci tritate, i petali di rosa secchi e il polline, o con quello che preferite (posso suggerire dei cranberries secchi?). 
Trasferite in frigo fino a che la glassa non finisce di solidificarsi.
(Se vi avanza della glassa come è successo a me, potete seguire lo stesso consiglio dato qui sopra).

Vi suggerisco di conservare questo dolce in frigorifero in un contenitore ermetico, non solo perché la glassa fuori dal frigo tende a sciogliersi in breve tempo ma anche la base, essendo molto umida, se non conservata al fresco si rovina in fretta, soprattutto con il caldo. 

Prima di tagliarlo però, fategli riprendere temperatura altrimenti se la glassa è troppo fredda tenderà a staccarsi dal dolce. 

E questo e quanto!
Come sempre spero di non esser stata troppo verbosa e prolissa e che la ricetta vi ispiri a cimentarvi. 

Spero anche di aver dato un'ispirazione a chi come me non può o non vuole mangiare certe cose. 
Io sono sempre qui, anche per dubbi e consigli, o per saper cosa ne pensate di questi miei nuovi senza.



domenica 30 dicembre 2018

Pane di semi // Si sta come d'autunno gli ormoni alla mia pelle

Che titolo del menga.
Sì lo so che lo state pensando.
Ma provateci voi a sdrammatizzare quando vi ritrovate con l'acne alla veneranda età di 33 anni.

Chi mi segue su instagram o facebook, sa che ho iniziato un corso per diventare pasticcera professionista (prometto di postare qualche ricetta più cicciosa prima possibile!) e insieme all'eccitazione per gli orizzonti che questa nuova attività mi spalanca davanti, si è rifatta viva anche la mia amata amica che comincia con la A.

Combatto con questo problema da quando ne ho 24 e vi assicuro che le ho provate tutte: integratori, pillola, antibiotici, isotretinoina, creme di tutti i generi, alimentazione...ma inevitabilmente, puntualmente ed inesorabilmente, questo disturbo torna sempre a farsi vivo.

Per mia somma letizia, come potete ben immaginare.

Da tempo, grazie a lei, ho rinunciato a latte e derivati, dato che ho notato un aggravarsi del problema quando mangio queste delizie (sigh!), oltre che di farine e zuccheri raffinati.

Interessante per un'aspirante pasticcera come la sottoscritta...

Scherzi a parte, in realtà sono ormai abitudini che ho preso e che, pelle a parte, mi fanno stare meglio anche a livello fisico.
Quindi non le abbandono, anche quando la mia pelle si comporta bene.


...che non è proprio quello che sta combinando adesso.
Ma probabilmente perché ho smesso da poco di prendere la pillola -effetti collaterali a lungo termine, anyone?- , o almeno è quello che cerco di ripetermi mentre prenoto l'ennesima visita dalla dermatologa.

Il che ci porta -finalmente- alla ricetta che volevo proporvi.

Con l'intenzione di smetterla di farmi di ormoni sintetici, ho iniziato a fare un po' di ricerchine e mi sono imbattuta in questo post.
Se non vi va di leggerlo tutto, compresi i vari link contenuti, temo di dover spendere due parole per provare a spiegarvi cos'è il "seed cycling" (che non so bene come tradurre in italiano) di cui si parla, e mi piacerebbe tanto farlo senza sembrare un'invasata, anche se ho la brutta sensazione che sarà un'ardua impresa...

In ogni caso: è una pratica che si riferisce al consumo, durante le diverse fasi del ciclo, di determinati semi che, grazie ai grassi 'buoni' e le sostanze nutritive che contengono, dovrebbero andare a supportare il sistema riproduttivo femminile, aiutando il corpo a riportare in equilibrio l'assetto ormonale.

semi di lino e di zucca per la fase follicolare (1°-14°giorno), semi di sesamo e di girasole per la fase luteale (15°-28°giorno)

Ho trovato la cosa estremamente interessante e, se la cosa interessa anche a voi (mi dispiace per i maschietti (???) che mi leggono), vi consiglio di provare e vedere se la cosa per voi funziona, sempre ammesso che ne abbiate bisogno.

Come tutti questi rimedi naturali, anche questo ha bisogno di tempo per fare effetto, e il mio consiglio è di provare per almeno 3 mesi: OVVIAMENTE non vi sto dicendo di buttare dalla finestra le vostre cure ormonali (se le state facendo), o non ascoltare il consiglio del vostro medico, ma solo di provare a sostenere il vostro sistema endocrino anche in maniera naturale.

E ve lo dico perché, nonostante tutto, sono per l'ennesima volta sotto antibiotico. 
Quindi, si vedrà nel tempo. Spero. Intanto, male non mi fa.

Siete ancora con me? Spero di sì.

Qualche settimana dopo aver letto di questa pratica, ho sfiorato con la coda dell'occhio quest'altra ricetta, e ho realizzato come potevo sfruttare le informazioni che avevo a mia disposizione nella maniera più comoda per la sottoscritta e, spero, anche per voi.


Se può farvi comodo l'ho acquistato qui.

Prima di arrivare alla ricetta (dio che fastidio che sono, vero?) vi vorrei presentare un altro componente del gruppo che andremo ad assemblare: la polvere di psillio.

Andatevi pure a leggere le varie proprietà di questo seme se vi va, ma vi anticipo che è una fibra (un prebiotico) vegetale che assorbe i liquidi, diventando gelatinosa.
Oltre a farvi fare tanta cacca (questo post mi sta totalmente sfuggendo di mano), la sua particolare consistenza ci aiuterà a legare tutti i semi e i cereali che andremo ad utilizzare.

Una farina che non è una farina, insomma.

Infatti, oltre a fornirci le preziose proprietà dei semi di cui vi ho parlato, questo "pane" è fantastico se cercate di limitare il consumo di carboidrati e più in generale mantenere la glicemia sotto controllo.

Ma ok, vengo alla ricetta finalmente:

  • 130gr di semi di zucca (o girasole)
  • 65gr di semi di lino macinati, meglio se al momento (o di sesamo)
  • 65gr di nocciole intere (o mandorle, o altra frutta secca a piacere)
  • 150gr di fiocchi d'avena grandi (100 in fiocchi e 50 di porridge se non usate i semi di lino)
  • 2 cucchiai (circa 30 gr) di semi di chia
  • 3 cucchiai di polvere di psillio (4 se usate la cuticola intera)
  • 1 cucchiaino scarso di sale
  • 1 cucchiaio abbondante di miele (o malto d'orzo)
  • 3 cucchiai di olio di cocco (o semi o e.v.o. delicato)
  • 300ml di acqua



Pesate tutta la semenza in una ciotola, con il sale e la polvere di psillio, dosate tutti i liquidi, compreso l'olio, in una brocca e quando avete fatto, unite il tutto.
Mescolate velocemente per amalgamare bene e non distraetevi: la polvere di psillio si reidrata piuttosto in fretta e se non mescolate bene subito vi si creerà una malloppa disomogenea che farete fatica a gestire.
True story folks.

Ungete uno stampo da plumcake con poco olio e trasferiteci lo gnocco di semi che si sarà materializzato nella vostra ciotola.
Compattatelo bene e lisciatelo con una spatola: non avendo nessun tipo di agente lievitante, il vostro mattoncino resterà si e no identico a come lo vedete ora, quindi decidete che forma volete che avrà una volta cotto.
Io non giudico. 

Copritelo con la pellicola e lasciatelo riposare almeno 2 ore. L'ideale sarebbe una notte e avendo provato entrambe le tempistiche, vi confermo che una notte sarebbe meglio: semi e cereali si reidratano a fondo (e così diventano anche più digeribili) cosa che migliora la consistenza finale del pane.

Una volta che sarà reidratato a dovere, infornate il pane a 200° per una mezz'ora, dopo di che vi consiglio di sformarlo (con cautela) e cuocerlo un'altra mezz'ora abbondante senza stampo e a sedere per aria in modo che si asciughi bene anche sul fondo, se vi sembra che si sia scurendo troppo, abbassate la temperatura a 180-175°.


Sfornate e lasciate raffreddare completamente prima di tagliarlo.
Questo pane è piuttosto umido e si conserva per una decina di giorni al massimo se lo ritirate in un sacchetto di carta per alimenti, ma vi consiglio di farlo a fette e tostarlo in forno già dopo una settimana, e vi dirò: trovo che tostandolo diventi ancora più sfizioso, grazie a tutti i semi che contiene.

Non aspettatevi la consistenza di una pane lievitato, soffice e croccante allo stesso tempo, però. Se posso fare un paragone assomiglia molto al pane di segale norvegese: umido, quasi appiccicoso, denso e dolciastro ma con il plus dei semi e della frutta secca, che per un scoiattolo come me, sono sempre una gradita aggiunta.


Se siete un po' chipmunk anche voi, non farete fatica a far diventare questo pane il nuovo supporto per infinite cicciosette variabili.
Inizialmente lo utilizzavo quasi esclusivamente per la colazione, con burro di mandorle, miele, marmellata o frutta fresca...o con una crema spalmabile al cioccolato...

Poi ho deciso di provarlo anche con il salato, e devo dire che con certi abbinamenti non si rimpiange il normale pane bianco, anzi: con del salmone marinato (o affumicato) per esempio, oppure con dello speck o della bresaola è la morte sua. Vi direi anche con del caprino all'erba cipollina, ma anche solo nominarlo ormai mi commuove. 
...troppo tardi.




domenica 15 luglio 2018

Paninetti alle more e zafferano // Camicie di seta, cappello di volpe, sorriso da atleta



Devo l'ispirazione per questa ricetta a mio cugino Boris, che da ormai un paio d'anni nel tempo libero si dedica a coltivare un piccolo appezzamento con un suo amico.

Stanno ottenendo ottimi risultati tanto che l'anno scorso sono riusciti a fare il primo raccolto di zafferano, cosa che mi ha lasciata a dir poco estasiata, e lui è stato così carino da regalarmene un vasetto che custodisco come fosse un tesoro. 
Avevo quasi timore di usarlo, tanto che il vasetto era ancora sigillato, nel buio delle mia dispensa.

L'altro giorno mia zia (la mamma di Boris) si è presentata a casa dei miei con un carico di more appena raccolte da mio cugino, seppur provenienti dal terreno di un altro amico.

Che meraviglia!
Erano secoli che non mangiavo delle more che sapessero davvero...di more! Ero quasi commossa!

Lasciata buona parte del raccolto a mia madre, che ne ha fatto una marmellata da urlo, me ne sono portata a casa una paio di manciate, con l'egoistico intento di mangiarmele con un filo di miele e una spruzzata di limone tutta da sola.

Ma dato che questa immagine da Angiolina mi rattristava un po', ho deciso di fare onore a questi regali tanto graditi con una ricetta degna di questo nome.



Per circa 9 paninetti:
  • 100gr di more (se ne avete l'opportunità selvatiche o appena raccolte)
  • qualche goccia di succo di limone (o dell'arancia di cui avrete usato la scorza)
  • una presa di zafferano in stimmi 
  • la scorza di un'arancia non trattata (o estratto)
  • 300gr di farina di Kamut (o Manitoba o Tipo 1)
  • 15gr di lievito madre secco (10gr di quello secco normale, 7gr se usate quello fresco)
  • 180ml circa di latte di mandorle (o vaccino)
  • un pizzico di sale
  • 3 cucchiaini abbondanti di miele d'arancio (o un millefiori delicato)
  • 2 cucchiai di farina di mandorle
  • 3 cucchiai abbondanti di zucchero di canna Demerara
  • 1 cucchiaino di Maizena (o Frumina)
  • 70gr circa di Margarina senza grassi idrogenati (o meglio ancora, del burro morbido)
  • 30gr circa di mandorle al naturale tritate 
Per prima cosa mettete a macerare le more (tagliatele a pezzetti se sono molto grosse) con la scorza di mezza arancia (o un cucchiaino di estratto), il succo di limone o arancia e uno cucchiaio di zucchero.

Coprite con della pellicola e lasciate riposare in frigorifero finché non vi serviranno.



In una piccola brocca versate il latte di mandorle a temperatura ambiente con il miele restante e lo zafferano. Mescolate per aiutare il miele a sciogliersi e lo zafferano ad infondere.

Unite il latte alla farina alla quale avrete già aggiunto il lievito (se usate quello fresco scioglietelo nel latte) e il sale.
Mescolate fino ad ottenere un composto elastico e compatto, leggermente appiccicoso. Se fosse necessario aggiungete dell'acqua o della farina per ottenere la consistenza desiderata.

Lavorate qualche minuto (a mano o con l'impastatrice)  per far sviluppare bene il glutine, poi trasferite in una ciotola capiente unta con poca margarina (o burro).

Coprite con della pellicola, lasciate lievitare per un paio d'ore a temperatura ambiente e poi trasferitela in frigorifero (questo perché è luglio e fa molto caldo in casa, ma se eseguite questa lievitazione d'inverno, potete anche lasciare la ciotola nel forno spento) e lasciate lievitare tutta la notte (circa 8 ore).

Il giorno dopo, quando siete pronti per la cottura, tirate fuori la ciotola e lasciate che l'impasto riprenda temperatura per almeno un paio d'ore.

 

Mentre l'impasto riposa, riprendete le more, che ormai avranno prodotto una discreta quantità di succo, e scolatele. Mettete le more in una  ciotolina, mescolatele con la maizena e tenetele da parte.

Il succo ottenuto dalla macerazione con il quale vi ritroverete è preziosissimo, perché, se lo assaggiate, vi renderete conto che ha tutto il sapore delle more: ci basterà aggiungere dello zucchero a velo (125gr -una busta- per circa 2 cucchiai di succo)  per realizzare una glassa-sciroppo da urlo. 
E anche quel colore shocking non guasta.

Copritela per evitare che si asciughi e tenetela da parte.

Riprendete l'impasto che, tra la lievitazione in frigorifero e il riposo a temperatura ambiente sarà raddoppiato di volume, se non addirittura triplicato.
Trasferitelo sul piano di lavoro e, tirando delicatamente con le mani, dategli una forma rettangolare.

Spalmate la superficie con buona parte della margarina, o burro, rimasta (ma salvatene una noce per ungere lo stampo), spolverate con la farina di mandorle, aggiungete le more tenute da parte distribuendole bene, le mandorle tritate e lo zucchero di canna, salvando una manciata di entrambi per la guarnizione finale.


Ripiegate i bordi del rettangolo di pasta verso l'interno, in modo che il ripieno non fuoriesca, poi iniziate ad arrotolate delicatamente -ma strettamente- uno dei lati fino ad ottenere un cilindro di pasta. 

Con un coltello a lama liscia grande e affilato, tagliate il cilindro in rondelle regolari (circa 3 cm) e disponetele in un teglia da muffins precedentemente unta con la margarina o il burro che avete tenuto da parte. (Se invece che delle monoporzioni volete realizzare un'unica forma di pane, potreste cimentarvi con questa lavorazione, seguendo gli stessi tempi di cottura.)

Coprite con della pellicola e lasciate lievitare un'altra oretta e mezza, due ore.
Trascorso questo tempo, preriscaldate il forno a 200°.

Poco prima di infornare cospargete con le mandorle e lo zucchero rimasti (se vi piace potete aggiungere una noce di burro o margarina su ogni paninetto, o in alternativa spennellarli con poco tuorlo sbattuto) e cuocete per circa 30 minuti.
Se, trascorso questo tempo, la doratura non vi convince, protraete la cottura per altri 10 minuti a 180°.

Sfornateli e lasciateli raffreddare qualche minuto prima di toglierli dallo stampo e farli raffreddare completamente su una gratella.


Una volta freddi, guarniteli generosamente con la glassa alle more che abbiamo tenuto da parte, anzi, il consiglio è di lasciare che ognuno se ne serva abbondantemente, perché la pasta morbida poco dolce e profumata di zafferano di questi panini, richiede a gran voce la nota acidula e fruttata di questa glassa sciropposa.

Oltre alle meravigliose materie prime che mio cugino è stato così gentile da regalarmi, devo una parte dell'ispirazione ad una ricetta tradizionale della nostra Sardegna:  su Pani Arrubio ovvero pane aranciato -o rosso-, chiamato così per il colore dato dallo zafferano, ma forse anche per l'aroma d'arancia nell'impasto.
E' un pane tradizionale votivo che si realizzava per celebrare Sant'Antioco e a differenza della mia storpiatura vede dell'uva passa, invece delle more, ad arricchire l'impasto.

Se volete provare ad utilizzare dell'uvetta invece delle more quindi, non me la prenderò, anzi. Il mio voleva essere un semplice tributo al bel lavoro che mio cugino sta facendo e che spero tanto gli dia sempre più soddisfazioni. 

Se poi il richiamo va anche alle origini della nostra famiglia, questo non può che chiudere il cerchio, oltre che questo post. 


sabato 7 luglio 2018

Ciambelline ripiene di crema al cioccolato // La coerenza di una contraddizione




Questo post è un po' un Frankestein (si lo so che non è il nome del mostro ma quello del Dottore...in ogni caso ci siamo capiti!), perché ho voluto farci stare tre preparazioni a cui stavo pensando da tempo e che avevo voglia di proporvi.

Purtroppo devo ammettere che, sebbene l'accostamento basilico-cioccolato mi piaccia molto, all'assaggio mi sono resa conto che la Nocciolata (seppur meno dolce della Nutella), risulta un po' stucchevole in relazione alle finiture al basilico -entrambe piuttosto zuccherose- che avevo pensato per queste ciambelline.

Ma vi darò diversi consigli su come correggere il tiro: potrete così imparare dai miei errori, senza l'onere delle conseguenze ma solo con l'onore dei benefici.

Prego, non c'è di che... ;D

Per 12 ciambelline:
  • 100gr di farina 00
  • 50gr di pistacchi ridotti in polvere
  • 1 cucchiaino di lievito
  • 50gr di zucchero di canna fine (ma potete scendere fino a 30gr)
  • 1/4 di cucchiaino di sale
  • 30gr di olio di cocco (o margarina non idrogenata)
  • 60ml di latte vegetale
  • 60gr di yogurt di cocco (o soia)
  • 1 uovo
  • 1 cucchiaino di estratto di vaniglia

Per il ripieno al cioccolato:
  • 250gr di Nocciolata senza latte Rigoni (circa un vasetto) 

(Ho utilizzato prodotti di origine vegetale perché ho voluto mantenere la ricetta senza lattosio, data la mia intolleranza: ma sentitevi liberi di usare latte, burro e yogurt di latte vaccino se per voi non fa differenza. Il prodotto finito non potrà che giovarne!)


La prima cosa da fare per queste ciambelline ripiene è, appunto, preparare il ripieno.
In realtà si tratta solo di versare il contenuto del vasetto di Nocciolata in un sac à poche con bocchetta liscia, e realizzare degli anellini che andranno poi fatti congelare.

La parte più macchinosa consiste nel prendere le misure della teglia e realizzare un template da usare come guida. Ho la fortuna di avere un coppa-pasta della dimensione perfetta che ho usato facilmente per disegnare dei cerchi su della carta forno. Ma sono sicura che anche voi avrete in casa qualcosa che potete utilizzare allo stesso modo. 
In alternativa il caro vecchio compasso delle medie farà il suo lavoro.

Vi consiglio di fare questa operazione su una teglia piatta e che sta comodamente nel vostro freezer.
Foderatela di pellicola: in questo modo, una volta congelati, i cerchietti di Nocciolata, saranno più semplici da staccare. 

Trasferite in freezer per almeno un paio d'ore o comunque finché non saranno solidi al tatto: non diventeranno mai completamente ghiacciati, per via dello zucchero e degli oli presenti nella crema, ma vi accorgerete quando saranno pronti.

Una volta congelati, staccateli dalla pellicola e trasferiteli su un vassoio che rimetterete in freezer mentre preparate l'impasto per le ciambelline.


Setacciate le farine con il lievito e il sale, aggiungete l'olio di cocco (o la margarina o il burro a tocchetti) e sabbiate la farina. 
Se disponete di un impastatore, utilizzate lo strumento a "foglia" per quest'operazione.
In alternativa è possibile farlo a mano, sfregando la farina tra le dita finché l'olio non viene assorbito completamente. 

In una caraffa, sbattete l'uovo con lo yogurt, il latte e l'estratto di vaniglia.
Aggiungete lo zucchero alla farina sabbiata, mescolate bene e aggiungete gli ingredienti liquidi.
Fate incorporare bene, in modo da creare un impasto uniforme.

Trasferite in un sac à poche e distribuite metà dell'impasto nello stampo per ciambelle, recuperate dal freezer i cerchietti di Nocciolata e distribuiteli nello stampo, facendoli affondare leggermente nell'impasto, con la parte piatta rivolta verso l'alto.
Terminate di riempire lo stampo con in restante impasto, in modo da coprire i cerchietti di crema gianduia.

Battete leggermente lo stampo sul piano di lavoro prima di infornarlo: in questo modo l'impasto di distribuirà in modo uniforme.
Cuocete a 180° per circa 12 minuti.



Una volta tolte dal forno lasciate raffreddare brevemente le ciambelline prima di sformarle.
Maneggiatele con cautela perché il ripieno, più liquido che solido dopo la cottura, le rende particolarmente fragili in questa fase.
Lasciatele raffreddare completamente su una gratella (e se potete anche un'oretta in frigo) prima di procedere alle eventuali fasi successive.

"Eventuali" perché, come ho detto all'inizio di questo post, il ripieno di gianduia rende in realtà superflua qualsiasi glassatura o altra aggiunta.
A dirla tutta quindi, potreste anche evitare la polvere di pistacchi nell'impasto e limitarvi ad utilizzare 150gr di farina 00, realizzando così una base alla vaniglia semplicissima che valorizzerà il ripieno.

Non ometterei i pistacchi, invece, se voleste provare a realizzare delle semplici ciambelline, senza ripieno, glassate al basilico: ma solo perché trovo grazioso il richiamo cromatico...e inoltre adoro i pistacchi.

Con la glassa al basilico che vi propongo subito sotto, trovo che starebbe benissimo anche una semplice base al cacao: la ricetta è la stessa che vi ho fornito, vi basterà sostituire 20gr, dei 150 totali di farina 00, con del cacao amaro.
Il contrasto tra la nota amara e avvolgente del cacao bilancia alla perfezione quella aromatica e fresca della glassa al basilico. 


Ma veniamo alla glassa:
  • 125gr di zucchero a velo
  • un cucchiaino di zucchero semolato
  • il succo di mezzo limone
  • una manciata di foglie di basilico*
  • un cucchiano di miele di acacia (facoltativo, ma lascia la glassa lucida una volta rappresa)
  • qualche fiore di basilico per decorare
(*io ho utilizzato una varietà che si chiama "cannella", molto aromatico e simile alla menta, ma più delicato e complesso come aroma. Non vi preoccupate: un buon basilico tradizionale andrà più che bene.)

In un mortaio (o, se preferite, in un frullatore anche se il basilico tenderà ad ossidarsi), pestate il basilico con lo zucchero semolato fino a ridurlo in poltiglia.
Aggiungete il succo di limone e mescolate brevemente.

Versate lo zucchero a velo in una ciotola con il miele (se l'avete usato) e aggiungete il succo di limone ormai verde un cucchiaino alla volta, filtrandolo attraverso un colino.

Dovrete ottenere una glassa piuttosto densa e corposa, in modo che si solidifichi in fretta e non coli troppo dalle ciambelline (quindi non è detto che il succo di limone vi serva tutto: aggiungetelo poco alla volta!).

Raggiunta la consistenza desiderata, pucciatevi le ciambelline dal lato che desiderate e, prima che la glassa asciughi, decorate con qualche fiorellino di basilico.
Lasciate rapprendere prima di servire.


Se le glasse non fanno per voi, vi consiglio di optare per uno zucchero aromatizzato: frullate 200gr di zucchero semolato con una manciata abbondante di foglie di basilico e la scorza di un limone.
Una volta che lo zucchero avrà assunto l'aspetto di sabbia bagnata verde acido, aggiungete 100gr di zucchero a velo (o più se necessario) e frullate, in modo che il composto finale risulti asciutto e ben slegato.

Trasferite questo zucchero aromatizzato in un sacchetto per alimenti e, quattro alla volta, buttateci dentro le ciambelline. Agitate il sacchetto in modo che si ricoprano di zucchero in maniera uniforme.
Se non intendete servirle o mangiarle tutte in una sola soluzione (in caso contrario avreste tutta la mia stima), zuccheratele di volta in volta, perché questa finitura tende a sciogliersi e rapprendersi in malamente se non consumata in breve tempo.

Questo zucchero vi avanzerà senz'altro, ma io non mi lamenterei: potreste usarlo per un mojito al basilico, per decorare i bicchieri di un cocktail (un basilico-sour magari?) o, perché no, dei biscotti o altre ciambelline con quest'erba come protagonista.

E questo è quanto.
Come al solito ho scritto troppo e come spesso mi capita temo che le mie troppe divagazioni e cambi di rotta vi abbiano fatto perdere il filo.
Ma spero sempre che qualcuno riesca a trovarne il capo e capire il succo di quello che volevo dire. 
Che in questo caso, nonostante il cioccolato, profuma innegabilmente di basilico.




venerdì 15 giugno 2018

Gelato 'furbetto' al cioccolato // Quel che le banane non dicono




Le banane sono un frutto che non stimola particolarmente il mio istinto culinario, devo ammetterlo.
Le compro perché a casa mia fungono da base per le mie bowl mattutine, mentre l'orso bianco che vive con me, le consuma solo quando poco mature, o al massimo in godzillani frappé di latte, spesso arricchiti da qualche pallina di gelato...

Ma non sempre avviene tutto ciò, anzi, spesso le povere banane restano nella fruttiera, a ricordarmi che sono una consumatrice distratta, nonostante tutte le mie buone intenzioni.

Ecco quindi che se non decido di fare un banana bread (che se non gronda di cioccolato non viene nemmeno considerato dal mio orso polare domestico...), vengono fatte a tocchetti e congelate per i suddetti utilizzi.

Sta di fatto che a volte, ormai occultate nel mio freezer -zeppo al limite del legalmente consentito-, vengono dimenticate...di nuovo.

Ecco quindi che questa ricettina, che poi non è nemmeno una ricetta, viene in mio soccorso.
O più che della sottoscritta, delle povere neglette banane.  


Mentre cercavo di fare una foto decente il mio 'gelato' ha iniziato a sciogliersi: la consistenza a cui dovete ambire è leggermente più sostenuta di questa, dove si riesce ancora a vedere chiaramente la struttura a vortice lasciata dalle lame.

Per circa 4 porzioni abbondanti:
  • 300gr circa di banane congelate a tocchetti
  • 2 cucchiai abbondanti di cacao (30gr circa)
  • 120ml circa di yogurt (io ho utilizzato quello di cocco)
  • un cucchiaino di estratto di vaniglia
  • un pizzico di sale
  • 2-3 cucchiai di burro di mandorle tostate o arachidi (facoltativo)
  • arachidi salate tritate grossolanamente per servire (facoltativo) 

La cosa fondamentale per questa preparazione è un robot da cucina decente (mixer, o come volete chiamarlo), se avete un buon frullatore con il quale riuscite a realizzare anche delle polveri o creme dense senza che si ingolfi o giri a vuoto, andrà benissimo anche quello.

Mettete le banane a tocchetti, il cacao, lo yogurt e l'estratto di vaniglia nel mixer e iniziate a frullare con la funzione 'pulse' fino ad ottenere un composto grossolano.
Se usato, aggiungete il burro di mandorle e il sale.



Quindi frullate fino ad ottenere un composto denso e omogeneo, ma non esagerate o le banane si scongeleranno del tutto e vi ritroverete con più di mezzo litro di frullato...e non ve lo auguro proprio.

Trasferite in un contenitore adatto al freezer, meglio se di metallo, ma anche un tupperware a chiusura ermetica andrà benissimo.
Trasferite in freezer e lasciate riposare per circa un'oretta (ma anche una mezz'ora è sufficiente).

Servite come un normale gelato, con tutti i cotillons che preferite. 
Io ho utilizzato le arachidi salate perché trovo che siano il giusto contraltare al connubio banana-cioccolato, ma non fatevi condizionare.

L'aggiunta del burro di semi non è fondamentale, anzi, è più facile che mi capiti di realizzare questa ricetta senza, ma vi consiglio di provarlo perché aumentando l'apporto di grassi alla struttura, si rende il prodotto finale più cremoso e senza dubbio più goloso e indulgente, pur restando in zona 'senza sensi di colpa'...o quasi. 

Se non lo consumate tutto subito (cosa che però vi consiglio, piuttosto riducete le dosi), potete ricongelarlo, ma non lasciatelo languire in freezer per troppo tempo, dato che tende a cristallizzare e a prendere un sapore poco gradevole. 

Come faccio sempre, vi invito a sperimentare con questa tecnica: usando come base le banane congelate potete realizzare un'infinità di varianti e ricordate che meno sono mature meno sapore lasceranno al gelato che risulterà più neutro, cosa interessante se volete sperimentare gusti delicati, ma probabilmente dovrete aggiungere del miele o altro per ottenere il giusto grado di dolcezza.

Oso dirvi che questo 'gelato' ha ottenuto l'approvazione da parte del divorate di gelato più accanito che io conosca. Non dico che lo preferisca a quello tradizionale (andiamo su, non lo pretendo nemmeno da me stessa!), ma lo ha scofanato più che volentieri, e vi assicuro che è quasi un evento epocale! 

Quindi provatelo, e fatemi sapere se anche la fauna di casa vostra gradisce.


venerdì 8 giugno 2018

Gnocchi di patate novelle con pesto di piselli // La maledizione di saper cucinare


"Hanno l'aria da sciocchini, giudiziosamente allineati nel loro scafo, fiduciosi, immobili, osano appena toccarsi. Li porta un cieco vascello, sospeso in cielo. [...]Ciascuno attende con pazienza la propria sorte, rinchiuso in uno stretto alloggiamento adattato alla perfezione.[...] Poi arriva il grande giorno. Tempesta, diluvio, terremoto, caduta.[...] Nello scompiglio alcuni cadono. [...] Gli altri vengono sbattuti alla rinfusa sul tavolo della cucina, piroghe capovolte sulla riva pulita della tovaglia [...]" (da "La voce segreta dell'orto" di Marie Christine Clément)

Ho preferito pubblicare questo stralcio, perché poco altro avrei potuto aggiungere alla sensazione che i piselli -e tutti gli altri legumi- riescono a trasmettermi con i loro croccanti baccelli carichi di biglie verde foglia.

Tanto adoro sgranarli e farmeli scivolare tra le dita, rubando i più teneri per mangiarli crudi, tanto poco, ahimè, li utilizzo in cucina.

Trovo che una volta cotti perdano un po' del loro fascino così di solito preferisco farli finire nelle insalate, spesso con un altra primizia stagionale come gli asparagi.

Ma quest'anno si cambia registro.



L'idea mi è venuta rileggendo una vecchia ricetta di Jamie Oliver, in cui piselli e fave diventavano un pesto grossolano da servire su dei crostoni.

La mia versione è un po' diversa e, forse, anche più semplice, dato che non include l'uso di un mortaio:
  • 2 grosse manciate di piselli sgranati crudi
  • 1 manciata scarsa di mandorle tostate senza buccia (ma anche pistacchi o anacardi)
  • le foglie di un piccolo mazzetto di basilico 
  • 1 spicchietto di aglio nuovo (ormai è stagione, compratelo! E' più delicato, fragrante e digeribile)
  • 20-30gr di Parmigiano Reggiano 48 mesi (se non avete intolleranze anche un buon pecorino stagionato)
  • 2-3 cucchiai di olio e.v.o.  
  • una paio di mestoli di acqua bollente
  • sale e pepe q.b.


Radunate tutti gli ingredienti, tranne l'olio, nel bicchiere del frullatore.

Versate l'acqua bollente sugli ingredienti fino a coprirli quasi completamente -se qualche pisello fa capolino siete a cavallo-, quindi non necessariamente dovrete usare entrambi i mestoli di acqua, attenzione.

Frullate fino ad ottenere una purea verde chiaro -adoro questo colore!- e grossolana.

Sempre frullando, mantecate aggiungendo l'olio a filo: il composto dovrà schiarirsi e risultare cremoso. Se ciò non avviene è possibile che abbiate utilizzato troppa acqua in partenza; aggiungete altri piselli per dare più corpo e mantecate con un altro cucchiaio di olio.

Regolate di sale e pepe e mettete da parte.

-I piselli crudi tendono ad avere un sapore un po' allappante e leggermente amarognolo, estremamente vegetale ma piacevole. Nonostante questo la parte sapida data dal Parmigiano e dal sale si deve sentire: in cottura questo pesto diventerà dolce, e se non abbiamo giocato bene con il condimento, potrebbe risultare leggermente stucchevole. Non vogliamo un passato di piselli!-


Ma la vera scoperta di questo post, per quanto mi riguarda, sono gli gnocchi.

Avevo delle patate novelle lesse che mi erano avanzate dalla sera prima e, come sempre con le patate fredde, non so mai cosa farci.

Gnocchi, ho pensato: proviamo.

In realtà non avevo molte speranze né sulla riuscita, men che meno sul fatto che li avrei graditi: mia mamma li ha sempre fatti poco quando ero a casa, e presumo che uno dei motivi fosse il mio scarso entusiasmo -per usare un eufemismo- nel mangiarli.

Purtroppo mi sono dovuta ricredere. Purtroppo perché gli gnocchi hanno la fama di essere una bella batosta per la linea e diciamo che non ho esattamente bisogno di mettere ulteriormente a repentaglio la mia già non proprio sottile figura...

Ma, hei, comunque è bello cambiare idea!

Per 3-4 porzioni piccole:
  • 250 circa di patate novelle lesse
  • 100gr di farina di farro monococco (o '00') più altra per la spianatoia
  • 1 tuorlo
  • sale e pepe (se necessario)


Schiacciate le patate con l'attrezzo apposito. Se le lessate al momento e sono belle calde e morbide, potrebbe bastarvi una forchetta, ma dovrete essere sicuri di averle schiacciate per bene.

Che non vi venga la malaugurata idea di usare un mixer -con le lame- per fare prima: vi ritrovereste con un composto colloso buono solo per il compost.

Radunate le patate schiacciate a fontanella sulla spianatoia, aggiungete il tuorlo e gradualmente la farina (io ho usato quella di farro perché avevo sotto mano quella, ma ve la consiglio se siete leggermente sensibili al glutine, perché più tollerabile).
Le mie patate erano già condite, quindi non ho avuto necessità di salare e pepare il mio composto, voi regolatevi a vostro gusto.

Impastate fino ad ottenere una palla piuttosto liscia.
Non sono un'esperta, perché è la mia prima volta, ma l'impasto è pronto quando non risulta più appiccicoso: quindi può darsi che a voi serva più farina o meno farina di quanto vi ho segnato in ricetta.
Fidatevi del vostro istinto.

Dividete l'impasto in quattro e realizzate dei salamotti di un paio di centimetri di diametro.
Tagliate i salamotti a tocchetti regolari (1-2cm) e, aiutandovi con altra farina, fateli scorrere sui rebbi di una forchetta, trascinando delicatamente la pasta con il pollice.

In realtà potete tagliarli semplicemente a tocchetti e cuocerli direttamente, ma per me gli gnocchi sono fatti così e si sa che i ricordi d'infanzia dettano molte regole.



Cuoceteli in acqua bollente salata finché non vengono a galla.
Scaldate il pesto di piselli in padella con un po' di acqua di cottura e fateci mantecare gli gnocchi scolati.

Serviteli caldi, con dei pisellini freschi, qualche fogliolina di basilico e una spolverata non necessaria ma assolutamente inderogabile di Parmigiano.

Una grattata di pepe, un filo di olio e avrete realizzato un piccolo capolavoro.

Ah, che sofferenza la cucina.

Io che credevo di poterne tranquillamente fare a meno, mi trovo a sognare questi soffici cuscini di patate, che avvolti nella cremosa dolcezza di questo pesto sono tra i primi piatti più gustosi che mi sia capitato di realizzare.

E ve lo dice una a cui non piacevano gli gnocchi!



venerdì 1 giugno 2018

Crostatine morbide alle fragole // Non chiederlo a una margherita




"Se dubbio d'amor
Troppo ti è duolo
Scegli una margherita
Con un petalo solo."
(Stefano Benni)

Che ci crediate o no ho trovato questa adorabile poesiola solo ieri sera.
Il post -titolo compreso- era già nella mia testa, pronto per essere messo nero su bianco, quando ho letto queste quattro e righe mi sono sembrate troppo dolci e incredibilmente calzanti per non inserirle.

Tutto è nato dalle foto, nelle quali mi sono accorta troppo tardi di aver utilizzato un fiorellino di fragola -non proprio una margherita quindi- che nel trambusto che sono i miei 'set' improvvisati, doveva aver perso un petalo.

Guardando le foto a schermo, il mio lato OCD ha avuto non pochi problemi, ma grazie al cielo è venuta in mio soccorso la filosofia che ho deciso di adottare da qualche tempo: la perfezione dell'imperfezione.
E sono riuscita a guardare questo fiorellino senza un petalo con amore invece che con l'urgenza di buttarlo via per sostituirlo con uno 'perfetto'.



Cosa che sto cercando di applicare anche alla mia quotidianità, nel rapporti con gli altri e soprattutto con me stessa.

Niente e nessuno è perfetto. Siamo tutti un po' sbilenchi, dentro e fuori, ma non per questo meno degni di amore.
Anzi, l'amore e la comprensione sono un balsamo per quelle piccole e grandi ferite che ci portiamo appresso.

Ma insomma, come al solito straparlo, e non è certo per questo che siete ruzzolati nel mio piccolo angolo di web.

In realtà, chi mi segue da un po', probabilmente conosce già questa ricetta perché l'avevo pubblicata qualche anno fa, ma ci tenevo a riproporvela dato che la uso spessissimo e volevo mostravi quanto può essere versatile a seconda dello stampo in cui decidete di cuocerla e a come la servite.


Da qualche tempo (o la moda è già passata?) ho visto questi stampi -detti 'furbi'- usati per realizzare delle 'crostate' morbide che vengono poi farcite con creme e frutta nella parte cava.
Devo ammettere che mi sono sentita una sciocchina, dato che avevo qualcuno di questi stampini un po' vecchiotti, e li avevo sempre utilizzati per fare -malamente- delle crostatine di frolla normali.

Non si finisce mai di imparare!
Ma ecco qui la ricetta:

Per 6 crostatine:
  • 150gr di farina di mandorle
  • 3 uova
  • 2 cucchiai di miele di acacia (o sciroppo d'agave)
  • 50gr di olio di cocco (o di semi)
  • un cucchiaino di lievito per dolci (se volete che la ricetta resti gluten free controllate che il vostro lievito non ne contenga!)
  • un pizzico di sale
  • un cucchiaino di estratto di vaniglia  (o i semi di mezza bacca)
  • la scorza grattugiata di un limone (o 1/2 arancia)



In una ciotola mettete la farina di mandorle con il sale e setacciatevi sopra il lievito.
Sciogliete l'olio di cocco, se necessario, e unitelo alla farina di mandorle.
Unite i restanti ingredienti nella ciotola e mescolate fino a ottenere un composto omogeneo.

Ungete gli stampini con pochissimo olio di cocco, trasferiteli in frigo per qualche minuto lasciando che si rapprenda, poi versatevi l'impasto.
Per pignoleria ho utilizzato un sac à poche, ma un paio di cucchiai andranno benissimo.
Cuocete in forno a 180° per 15-18 minuti, o finché sono belle dorate.

Se non avete questi stampini, non vi demoralizzate, potete utilizzare tranquillamente anche una teglia da muffin o, se lo avete, uno stampo per ciambelline e replicare papale papale il mio vecchio post.

Potete utilizzare quello che preferite per farcirle e servirle, ma io ultimamente ho una preferenza per lo yogurt di cocco (che si trova al super -vi consiglio quello della Moon Harvest, che purtroppo non è italiana, ma devo dirlo, quello della Yomo uscito da poco è immangiabile!- ma sul quale sto lavorando per farlo in casa) e la mia composta di fragole alla chia, che vedete nelle foto.

Ma nessuno vi impedisce di colarvi dentro del vegan fudge, restando così fedeli alla ricetta originale, e dichiararvi più che soddisfatti. 

Un'idea in più: realizzate una cavità nei vostri muffin -con lo strumento apposito o un leva-torsolo- e riempitela con la composta. Glassate con dello yogurt e decorate con frutta fresca.

Come chiudere questo post dato che ormai ho perso un po' il filo?
Forse ribadendo che non siamo perfetti -e la mia scrittura claudicante ne è un esempio eclatante-, ma che sono le nostre imperfezioni, sulle quali magari perdiamo il sonno e versiamo molte lacrime a renderci noi stessi.

Una retorica forse scontata e stucchevole, alla quale però credo fermamente, forse proprio perché le mie insicurezze e fragilità sono state spesso fonte di incomprensioni, mi sono fatta male e probabilmente, pur senza volerlo, ne ho fatto a mia volta.

Così ho capito che prima di tutto dobbiamo prenderci cura di noi stessi, guardandoci con la stessa compassione con cui sono riuscita a guardare quel fiorellino menomato.

La vita ci strapazza e, statene pur certi, vivi non se ne esce.

Quindi non perdete tempo a tormentare innocenti margheritine, tanto chi ci vuole bene ci porta le rose.