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mercoledì 18 ottobre 2017

Brodo di ossa//La sostanza delle cose


L'alleato migliore che potrete avere in cucina durante questa e la prossima stagione sarà sicuramente questo brodo: zuppe, stufati,risotti...darà una marcia in più a qualsiasi cosa lo aggiungerete.

E non parlo solo del sapore, ma anche dei benefici per la salute.

Il brodo di ossa è, da tempo immemorabile, considerato un ricostituente naturale, tonico e rimineralizzante, prezioso nel periodo autunnale e invernale, dove spesso le nostre difese immunitarie sono messe a dura prova.

Ma anche in altri periodi dell'anno in cui se ne senta la necessità: io l'ho utilizzato anche quest'estate, dopo un esaurimento psico-fisico notevole, aggravato da una cura antibiotica che mi aveva messa k.o., e devo ammettere che mi ha rimessa al mondo.

Il collagene presente in grandi quantità (per questo, una volta freddo “gelatinizza”), rigenera le pareti intestinali e ripristina l'elasticità di tutte le membrane cellulari.

Dite che è poco?




La preparazione è identica a questa versione pubblicata anni fa, ma cambiano i tempi di cottura e l'intensità di sapore del prodotto finale.

Ma veniamo alla ricetta:

  • ossa di manzo (se fate abitualmente la spesa da un buon macellaio, tanto da poterlo chiamare per nome, molto probabilmente ve le regalerà: chiedete il ginocchio o il gambetto)
  • la Santa Trinità (sedano, carota e cipolla)
  • una testa d'aglio tagliata a metà per la lunga (se la cosa vi spaventa iniziate con 3 grossi spicchi: ma fidatevi, anche con una testa intera non sentire sapore di aglio nel brodo finito.)
  • 2-3 foglie di alloro
  • un pezzo di zenzero schiacciato (Rilascia più fragranza che tritarlo. Ma comunque facoltativo.)
  • un paio di cucchiaini di bacche di pepe della Giamaica o All Spice (ma un paio di chiodi di garofano infilati nella cipolla andranno più che bene e avrete tutta la mia stima.)
  • un paio di pomodori secchi (facoltativi, ma per me assolutamente inderogabili.)


Accendete il forno a 200°.
Mentre si scalda, sciacquate le ossa di manzo per eliminare eventuali schegge ed altre impurità.
Se volete potete anche lasciarle a bagno un'oretta.

Asciugatele sommariamente e mettetele in una teglia di metallo unta con poco olio per renderla antiaderente, ma se ne avete una che lo è già non sarà necessario ungerla.

Infornate e fate arrostire per almeno un'ora o fino ad un'ora e mezza: questo passaggio serve a dare un sapore finale più intenso al brodo, ma soprattutto ad eliminare gran parte del grasso in eccesso.

Trascorso questo tempo, togliete la teglia dal forno, trasferite le ossa arrostite in una pentola capiente (circa 5 litri).

Eliminate il grasso sciolto dalla teglia e versatevi dell'acqua.

Con un mestolo, grattate tutti i residui lasciati dal manzo sul fondo della teglia e trasferite il liquido così ottenuto nella pentola.

Aggiungete altra acqua sufficiente a coprire le ossa, riempiendo la pentola per almeno ¾ e mettete sul fuoco.

Una volta raggiunto il bollore, abbassate la fiamma e fate cuocere coperto per almeno 3-4 ore.

Brodo freddo gelatinizzato

A questo punto aggiungete i restanti ingredienti e tenete conto che la preparazione dovrà cuocere dalle 12 alle 24 ore (non continuative: di notte spegnetelo e riprendete la cottura il giorno seguente, sempre che decidiate di protrarre la cottura fino alle 24 ore.).

-Lo so, mi dispiace, ma è una preparazione che potreste portare tranquillamente a termine durante un week end piovoso e utilizzare tutta la settimana, oppure congelarlo una volta freddo e usarlo di volta in volta quando vi serve.

In fondo non dovrete fare nulla durante la cottura, se non essere presenti e sbirciare il livello del liquido ogni tanto ed eventualmente aggiungere dell'acqua.-

Io preferisco non salare il brodo, ecco perché non c'è il sale tra gli ingredienti: trovo che in questo modo sia più comodo da usare nelle preparazioni , ma scegliete voi cosa fare.
"this not ain't for the faint of heart"

-Apro una piccola parentesi per raccontarvi una cosa che mi piace fare quando il brodo sta cuocendo: stomaci sensibili e persone impressionabili, saltate al paragrafo successivo.

Adoro recuperare alcuni tendini, trasformati in morbida gelatina dalla cottura, e gustarmeli con un pizzico di sale. Si lo so...è raccapricciante. 
Ma lo adoro!-

Una volta pronto fatelo raffreddare un'oretta.

Eliminate ossa e verdure (o quel che ne è rimasto) e buttateli senza sensi di colpa: a questo punto tutta la sostanza è finita nel nostro brodo.

Filtrate il liquido rimasto attraverso un colino foderato di garza (uno strofinaccio a trama sottile pulito andrà benissimo) e lasciatelo raffreddare fino a temperatura ambiente.

Poi copritelo e fatelo riposare in frigo per almeno 6-8 ore: l'eventuale grasso presente si coagulerà in superficie e sarà facile da rimuovere.

Mi rendo conto che scegliere di preparare questo brodo si avvicini molto ad una scelta radicale.

Negli ultimi anni si è un po' demonizzato il consumo di carne, e lo capisco, dato che la domanda dell'industria alimentare sta rendendo sempre più intensive coltivazioni ed allevamenti, ma credo che smettere di consumare carne non sia la soluzione, anzi.


Quello che, a parer mio, dovremmo fare è pretendere la qualità sopra la quantità: questo si tradurrebbe in allevamenti più sani, controllati ed etici.

Nel mio piccolo cerco di scegliere carne dalla provenienza chiara, parlando direttamente con le persone che la vendono e che conoscono i produttori. Dove posso, vado da chi alleva, macella e vende direttamente i propri prodotti.

Cucinare per me è sempre stato un po' come concretizzare il concetto di “prendersi cura”.
Di se stessi, ma anche e soprattutto degli altri, e credo che sentirò sempre molto stretto il legame tra cucinare per qualcuno e volergli bene.

Se questa cosa si estende a chi coltiva, alleva e produce ciò che arriva sulle nostre tavole, non è difficile scegliere ciò che è stato trattato con più cura e utilizzarlo con altrettanta attenzione.

Ecco perché volevo condividere con voi questa ricetta semplice, essenziale e che sfrutta fino al midollo -letteralmente- le materie prime utilizzate: peggio di mangiare troppa carne, c'è solo sprecarla.

venerdì 1 luglio 2016

Io sto alle Pardulas come le Madeleine stanno a Proust // Come recuperare una memoria, senza averla mai vissuta

Tra i pizzi e i centrini fatti a mano dalla mia nonna che mi sono portata a casa durante il suo trasloco, c'è quello che vedete nelle fotografie.
E' da qui che è partita l'ispirazione per questo post ed è alla mia nonna che lo dedico, perché le sono grata.

Prima di tutto per aver assegnato ad ogni oggetto regalato un piccolo frammento di vita narrato dalla sua voce e che porterò sempre con me.

E poi per la sua forza, la sua testardaggine e il suo spirito inossidabile che le hanno permesso, nonostante gli alti e bassi che ogni essere umano sperimenta nel corso della vita, di crescere cinque figli, lontano dalla sua famiglia e dalla sua Sardegna.

Ma cambio subito argomento perché alla mia nonna non piacciono le smancerie.


Così ho pensato di provare a preparare delle Pardulas, perché sono il mio dolce sardo preferito.

Con la loro forma e quel colore giallo acceso, ricordano dei piccoli soli, quasi come quelli che disegnano i bambini.

Allo stesso modo, le Pardulas, sono semplici anche se di antica concezione e per quanto mi riguarda sono l'essenzialità di quello che può essere un dolce.

La vera complessità di questi dolcetti, così come di molti piatti della tradizione, non sta tanto nella preparazione, quanto nella scelta degli ingredienti.
Quando sono così pochi e così semplici, non ti puoi nascondere, se scendi a compromessi con la qualità, scendi a compromessi con i sapori.

E questo, in realtà, vale per tutta la cucina, anche la più nouvelle: nulla può il più grande degli chef se la materia prima non è di qualità.


Per la pasta:
  • 250gr di farina 00
  • 100gr di burro sciolto (tradizionalmente si usava lo strutto...ma ho preferito evitare)
  • 125ml di acqua tiepida
  • un pizzico di sale
Per il ripieno:
  • 400gr di ricotta mista artigianale (mucca-pecora o meglio ancora solo di pecora se la trovate)
  • 2 uova (se le trovate, prendete quelle per fare la pasta all'uovo)
  • 80gr di farina 00
  • 100gr di zucchero semolato
  • 3 cucchiai di miele millefiori (o d'arancia o d'acacia, e cercate qualche produttore locale, la qualità  potrebbe sorprendervi!)
  • ½ bustina di zafferano (occhio alla provenienza...)
  • la scorza di un'arancia (rigorosamente bio)
  • un pizzico di sale

Nell'impastatore con il gancio a foglia, o in una ciotola con il mestolo, unite la farina, il pizzico di sale e l'acqua tiepida. Quando si sarà formato un impasto grossolano, iniziate ad aggiungere il burro fuso poco alla volta, in modo che venga gradualmente assorbito dall'impasto.

Una volta incorporato tutto il burro, trasferite la pasta sul piano di lavoro e lavoratela energicamente fino a renderla liscia e compatta, tra l'altro questo è uno degli impasti più setosi che abbia mai avuto il piacere di maneggiare e che varrebbe la pena di provare anche in altre preparazioni.

Fatelo riposare coperto per almeno 30 minuti.


Nel frattempo preparate il ripieno.

Passate a setaccio la ricotta, in modo da renderla più morbida ed evitare grumi (se la vostra ricotta è omogeneizzata come quella della Vallelata...desistete: una buona ricotta deve avere una certa consistenza.).
Aggiungete tutti i restanti ingredienti e mescolate bene con una frusta (ma non è necessario montare) fino a rendere il composto uniforme.

Lasciate da parte e riprendete la pasta.
Stendetela in una sfoglia sottile (circa 3mm) e con un coppa pasta tondo ricavate dei dischi.

Mettete mezzo cucchiaio circa di ripieno al centro di ogni disco e pizzicate la pasta in più punti verso l'interno in modo da creare un bordo.
Non riempitele troppo altrimenti in cottura potrebbero aprirsi, vanificando l'effetto decorativo e pratico del nostro bordino puntuto.

Cuocete a 180° per 25-30 minuti o finché sono belle arancio-dorate.

Una volta sfornate, potete lucidarle con un po' del miele usato nel ripieno, diluito con poca acqua.

Il miele che ho utilizzato, e qui lo so che andiamo veramente a spaccare il capello, me lo hanno portato i miei genitori da uno dei loro viaggi in Sardegna.
E' un millefiori (mebi de millafroris) locale.

Ogni millefiori ha un sapore strutturato e in questo c'è tutta l'aromaticità selvatica della macchia mediterranea sarda.

Non aggiungo altro.


Come Proust, mi sarebbe piaciuto raccontarvi un ricordo d'infanzia legato a questi dolcetti, magari della mia nonna che mi insegna a prepararle, ma non ho ricordi simili purtroppo.

Se devo essere onesta non sono neppure sicura di quando le ho assaggiate per la prima volta, ma ricordo perfettamente di essermi innamorata subito del loro sapore, così semplice eppure così complesso...un po' come la terra da cui provengono e, in parte, da cui provengo anch'io.

Forse è proprio questa la mia memoria proustiana: riallacciare un legame con la terra che mi porto nel sangue attraverso sapori che parlano più alle mie ossa che alla mia testa, come l'appartenenza carnale che c'è tra una madre e i suoi figli.