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domenica 15 luglio 2018

Paninetti alle more e zafferano // Camicie di seta, cappello di volpe, sorriso da atleta



Devo l'ispirazione per questa ricetta a mio cugino Boris, che da ormai un paio d'anni nel tempo libero si dedica a coltivare un piccolo appezzamento con un suo amico.

Stanno ottenendo ottimi risultati tanto che l'anno scorso sono riusciti a fare il primo raccolto di zafferano, cosa che mi ha lasciata a dir poco estasiata, e lui è stato così carino da regalarmene un vasetto che custodisco come fosse un tesoro. 
Avevo quasi timore di usarlo, tanto che il vasetto era ancora sigillato, nel buio delle mia dispensa.

L'altro giorno mia zia (la mamma di Boris) si è presentata a casa dei miei con un carico di more appena raccolte da mio cugino, seppur provenienti dal terreno di un altro amico.

Che meraviglia!
Erano secoli che non mangiavo delle more che sapessero davvero...di more! Ero quasi commossa!

Lasciata buona parte del raccolto a mia madre, che ne ha fatto una marmellata da urlo, me ne sono portata a casa una paio di manciate, con l'egoistico intento di mangiarmele con un filo di miele e una spruzzata di limone tutta da sola.

Ma dato che questa immagine da Angiolina mi rattristava un po', ho deciso di fare onore a questi regali tanto graditi con una ricetta degna di questo nome.



Per circa 9 paninetti:
  • 100gr di more (se ne avete l'opportunità selvatiche o appena raccolte)
  • qualche goccia di succo di limone (o dell'arancia di cui avrete usato la scorza)
  • una presa di zafferano in stimmi 
  • la scorza di un'arancia non trattata (o estratto)
  • 300gr di farina di Kamut (o Manitoba o Tipo 1)
  • 15gr di lievito madre secco (10gr di quello secco normale, 7gr se usate quello fresco)
  • 180ml circa di latte di mandorle (o vaccino)
  • un pizzico di sale
  • 3 cucchiaini abbondanti di miele d'arancio (o un millefiori delicato)
  • 2 cucchiai di farina di mandorle
  • 3 cucchiai abbondanti di zucchero di canna Demerara
  • 1 cucchiaino di Maizena (o Frumina)
  • 70gr circa di Margarina senza grassi idrogenati (o meglio ancora, del burro morbido)
  • 30gr circa di mandorle al naturale tritate 
Per prima cosa mettete a macerare le more (tagliatele a pezzetti se sono molto grosse) con la scorza di mezza arancia (o un cucchiaino di estratto), il succo di limone o arancia e uno cucchiaio di zucchero.

Coprite con della pellicola e lasciate riposare in frigorifero finché non vi serviranno.



In una piccola brocca versate il latte di mandorle a temperatura ambiente con il miele restante e lo zafferano. Mescolate per aiutare il miele a sciogliersi e lo zafferano ad infondere.

Unite il latte alla farina alla quale avrete già aggiunto il lievito (se usate quello fresco scioglietelo nel latte) e il sale.
Mescolate fino ad ottenere un composto elastico e compatto, leggermente appiccicoso. Se fosse necessario aggiungete dell'acqua o della farina per ottenere la consistenza desiderata.

Lavorate qualche minuto (a mano o con l'impastatrice)  per far sviluppare bene il glutine, poi trasferite in una ciotola capiente unta con poca margarina (o burro).

Coprite con della pellicola, lasciate lievitare per un paio d'ore a temperatura ambiente e poi trasferitela in frigorifero (questo perché è luglio e fa molto caldo in casa, ma se eseguite questa lievitazione d'inverno, potete anche lasciare la ciotola nel forno spento) e lasciate lievitare tutta la notte (circa 8 ore).

Il giorno dopo, quando siete pronti per la cottura, tirate fuori la ciotola e lasciate che l'impasto riprenda temperatura per almeno un paio d'ore.

 

Mentre l'impasto riposa, riprendete le more, che ormai avranno prodotto una discreta quantità di succo, e scolatele. Mettete le more in una  ciotolina, mescolatele con la maizena e tenetele da parte.

Il succo ottenuto dalla macerazione con il quale vi ritroverete è preziosissimo, perché, se lo assaggiate, vi renderete conto che ha tutto il sapore delle more: ci basterà aggiungere dello zucchero a velo (125gr -una busta- per circa 2 cucchiai di succo)  per realizzare una glassa-sciroppo da urlo. 
E anche quel colore shocking non guasta.

Copritela per evitare che si asciughi e tenetela da parte.

Riprendete l'impasto che, tra la lievitazione in frigorifero e il riposo a temperatura ambiente sarà raddoppiato di volume, se non addirittura triplicato.
Trasferitelo sul piano di lavoro e, tirando delicatamente con le mani, dategli una forma rettangolare.

Spalmate la superficie con buona parte della margarina, o burro, rimasta (ma salvatene una noce per ungere lo stampo), spolverate con la farina di mandorle, aggiungete le more tenute da parte distribuendole bene, le mandorle tritate e lo zucchero di canna, salvando una manciata di entrambi per la guarnizione finale.


Ripiegate i bordi del rettangolo di pasta verso l'interno, in modo che il ripieno non fuoriesca, poi iniziate ad arrotolate delicatamente -ma strettamente- uno dei lati fino ad ottenere un cilindro di pasta. 

Con un coltello a lama liscia grande e affilato, tagliate il cilindro in rondelle regolari (circa 3 cm) e disponetele in un teglia da muffins precedentemente unta con la margarina o il burro che avete tenuto da parte. (Se invece che delle monoporzioni volete realizzare un'unica forma di pane, potreste cimentarvi con questa lavorazione, seguendo gli stessi tempi di cottura.)

Coprite con della pellicola e lasciate lievitare un'altra oretta e mezza, due ore.
Trascorso questo tempo, preriscaldate il forno a 200°.

Poco prima di infornare cospargete con le mandorle e lo zucchero rimasti (se vi piace potete aggiungere una noce di burro o margarina su ogni paninetto, o in alternativa spennellarli con poco tuorlo sbattuto) e cuocete per circa 30 minuti.
Se, trascorso questo tempo, la doratura non vi convince, protraete la cottura per altri 10 minuti a 180°.

Sfornateli e lasciateli raffreddare qualche minuto prima di toglierli dallo stampo e farli raffreddare completamente su una gratella.


Una volta freddi, guarniteli generosamente con la glassa alle more che abbiamo tenuto da parte, anzi, il consiglio è di lasciare che ognuno se ne serva abbondantemente, perché la pasta morbida poco dolce e profumata di zafferano di questi panini, richiede a gran voce la nota acidula e fruttata di questa glassa sciropposa.

Oltre alle meravigliose materie prime che mio cugino è stato così gentile da regalarmi, devo una parte dell'ispirazione ad una ricetta tradizionale della nostra Sardegna:  su Pani Arrubio ovvero pane aranciato -o rosso-, chiamato così per il colore dato dallo zafferano, ma forse anche per l'aroma d'arancia nell'impasto.
E' un pane tradizionale votivo che si realizzava per celebrare Sant'Antioco e a differenza della mia storpiatura vede dell'uva passa, invece delle more, ad arricchire l'impasto.

Se volete provare ad utilizzare dell'uvetta invece delle more quindi, non me la prenderò, anzi. Il mio voleva essere un semplice tributo al bel lavoro che mio cugino sta facendo e che spero tanto gli dia sempre più soddisfazioni. 

Se poi il richiamo va anche alle origini della nostra famiglia, questo non può che chiudere il cerchio, oltre che questo post. 


venerdì 15 giugno 2018

Gelato 'furbetto' al cioccolato // Quel che le banane non dicono




Le banane sono un frutto che non stimola particolarmente il mio istinto culinario, devo ammetterlo.
Le compro perché a casa mia fungono da base per le mie bowl mattutine, mentre l'orso bianco che vive con me, le consuma solo quando poco mature, o al massimo in godzillani frappé di latte, spesso arricchiti da qualche pallina di gelato...

Ma non sempre avviene tutto ciò, anzi, spesso le povere banane restano nella fruttiera, a ricordarmi che sono una consumatrice distratta, nonostante tutte le mie buone intenzioni.

Ecco quindi che se non decido di fare un banana bread (che se non gronda di cioccolato non viene nemmeno considerato dal mio orso polare domestico...), vengono fatte a tocchetti e congelate per i suddetti utilizzi.

Sta di fatto che a volte, ormai occultate nel mio freezer -zeppo al limite del legalmente consentito-, vengono dimenticate...di nuovo.

Ecco quindi che questa ricettina, che poi non è nemmeno una ricetta, viene in mio soccorso.
O più che della sottoscritta, delle povere neglette banane.  


Mentre cercavo di fare una foto decente il mio 'gelato' ha iniziato a sciogliersi: la consistenza a cui dovete ambire è leggermente più sostenuta di questa, dove si riesce ancora a vedere chiaramente la struttura a vortice lasciata dalle lame.

Per circa 4 porzioni abbondanti:
  • 300gr circa di banane congelate a tocchetti
  • 2 cucchiai abbondanti di cacao (30gr circa)
  • 120ml circa di yogurt (io ho utilizzato quello di cocco)
  • un cucchiaino di estratto di vaniglia
  • un pizzico di sale
  • 2-3 cucchiai di burro di mandorle tostate o arachidi (facoltativo)
  • arachidi salate tritate grossolanamente per servire (facoltativo) 

La cosa fondamentale per questa preparazione è un robot da cucina decente (mixer, o come volete chiamarlo), se avete un buon frullatore con il quale riuscite a realizzare anche delle polveri o creme dense senza che si ingolfi o giri a vuoto, andrà benissimo anche quello.

Mettete le banane a tocchetti, il cacao, lo yogurt e l'estratto di vaniglia nel mixer e iniziate a frullare con la funzione 'pulse' fino ad ottenere un composto grossolano.
Se usato, aggiungete il burro di mandorle e il sale.



Quindi frullate fino ad ottenere un composto denso e omogeneo, ma non esagerate o le banane si scongeleranno del tutto e vi ritroverete con più di mezzo litro di frullato...e non ve lo auguro proprio.

Trasferite in un contenitore adatto al freezer, meglio se di metallo, ma anche un tupperware a chiusura ermetica andrà benissimo.
Trasferite in freezer e lasciate riposare per circa un'oretta (ma anche una mezz'ora è sufficiente).

Servite come un normale gelato, con tutti i cotillons che preferite. 
Io ho utilizzato le arachidi salate perché trovo che siano il giusto contraltare al connubio banana-cioccolato, ma non fatevi condizionare.

L'aggiunta del burro di semi non è fondamentale, anzi, è più facile che mi capiti di realizzare questa ricetta senza, ma vi consiglio di provarlo perché aumentando l'apporto di grassi alla struttura, si rende il prodotto finale più cremoso e senza dubbio più goloso e indulgente, pur restando in zona 'senza sensi di colpa'...o quasi. 

Se non lo consumate tutto subito (cosa che però vi consiglio, piuttosto riducete le dosi), potete ricongelarlo, ma non lasciatelo languire in freezer per troppo tempo, dato che tende a cristallizzare e a prendere un sapore poco gradevole. 

Come faccio sempre, vi invito a sperimentare con questa tecnica: usando come base le banane congelate potete realizzare un'infinità di varianti e ricordate che meno sono mature meno sapore lasceranno al gelato che risulterà più neutro, cosa interessante se volete sperimentare gusti delicati, ma probabilmente dovrete aggiungere del miele o altro per ottenere il giusto grado di dolcezza.

Oso dirvi che questo 'gelato' ha ottenuto l'approvazione da parte del divorate di gelato più accanito che io conosca. Non dico che lo preferisca a quello tradizionale (andiamo su, non lo pretendo nemmeno da me stessa!), ma lo ha scofanato più che volentieri, e vi assicuro che è quasi un evento epocale! 

Quindi provatelo, e fatemi sapere se anche la fauna di casa vostra gradisce.


venerdì 8 giugno 2018

Gnocchi di patate novelle con pesto di piselli // La maledizione di saper cucinare


"Hanno l'aria da sciocchini, giudiziosamente allineati nel loro scafo, fiduciosi, immobili, osano appena toccarsi. Li porta un cieco vascello, sospeso in cielo. [...]Ciascuno attende con pazienza la propria sorte, rinchiuso in uno stretto alloggiamento adattato alla perfezione.[...] Poi arriva il grande giorno. Tempesta, diluvio, terremoto, caduta.[...] Nello scompiglio alcuni cadono. [...] Gli altri vengono sbattuti alla rinfusa sul tavolo della cucina, piroghe capovolte sulla riva pulita della tovaglia [...]" (da "La voce segreta dell'orto" di Marie Christine Clément)

Ho preferito pubblicare questo stralcio, perché poco altro avrei potuto aggiungere alla sensazione che i piselli -e tutti gli altri legumi- riescono a trasmettermi con i loro croccanti baccelli carichi di biglie verde foglia.

Tanto adoro sgranarli e farmeli scivolare tra le dita, rubando i più teneri per mangiarli crudi, tanto poco, ahimè, li utilizzo in cucina.

Trovo che una volta cotti perdano un po' del loro fascino così di solito preferisco farli finire nelle insalate, spesso con un altra primizia stagionale come gli asparagi.

Ma quest'anno si cambia registro.



L'idea mi è venuta rileggendo una vecchia ricetta di Jamie Oliver, in cui piselli e fave diventavano un pesto grossolano da servire su dei crostoni.

La mia versione è un po' diversa e, forse, anche più semplice, dato che non include l'uso di un mortaio:
  • 2 grosse manciate di piselli sgranati crudi
  • 1 manciata scarsa di mandorle tostate senza buccia (ma anche pistacchi o anacardi)
  • le foglie di un piccolo mazzetto di basilico 
  • 1 spicchietto di aglio nuovo (ormai è stagione, compratelo! E' più delicato, fragrante e digeribile)
  • 20-30gr di Parmigiano Reggiano 48 mesi (se non avete intolleranze anche un buon pecorino stagionato)
  • 2-3 cucchiai di olio e.v.o.  
  • una paio di mestoli di acqua bollente
  • sale e pepe q.b.


Radunate tutti gli ingredienti, tranne l'olio, nel bicchiere del frullatore.

Versate l'acqua bollente sugli ingredienti fino a coprirli quasi completamente -se qualche pisello fa capolino siete a cavallo-, quindi non necessariamente dovrete usare entrambi i mestoli di acqua, attenzione.

Frullate fino ad ottenere una purea verde chiaro -adoro questo colore!- e grossolana.

Sempre frullando, mantecate aggiungendo l'olio a filo: il composto dovrà schiarirsi e risultare cremoso. Se ciò non avviene è possibile che abbiate utilizzato troppa acqua in partenza; aggiungete altri piselli per dare più corpo e mantecate con un altro cucchiaio di olio.

Regolate di sale e pepe e mettete da parte.

-I piselli crudi tendono ad avere un sapore un po' allappante e leggermente amarognolo, estremamente vegetale ma piacevole. Nonostante questo la parte sapida data dal Parmigiano e dal sale si deve sentire: in cottura questo pesto diventerà dolce, e se non abbiamo giocato bene con il condimento, potrebbe risultare leggermente stucchevole. Non vogliamo un passato di piselli!-


Ma la vera scoperta di questo post, per quanto mi riguarda, sono gli gnocchi.

Avevo delle patate novelle lesse che mi erano avanzate dalla sera prima e, come sempre con le patate fredde, non so mai cosa farci.

Gnocchi, ho pensato: proviamo.

In realtà non avevo molte speranze né sulla riuscita, men che meno sul fatto che li avrei graditi: mia mamma li ha sempre fatti poco quando ero a casa, e presumo che uno dei motivi fosse il mio scarso entusiasmo -per usare un eufemismo- nel mangiarli.

Purtroppo mi sono dovuta ricredere. Purtroppo perché gli gnocchi hanno la fama di essere una bella batosta per la linea e diciamo che non ho esattamente bisogno di mettere ulteriormente a repentaglio la mia già non proprio sottile figura...

Ma, hei, comunque è bello cambiare idea!

Per 3-4 porzioni piccole:
  • 250 circa di patate novelle lesse
  • 100gr di farina di farro monococco (o '00') più altra per la spianatoia
  • 1 tuorlo
  • sale e pepe (se necessario)


Schiacciate le patate con l'attrezzo apposito. Se le lessate al momento e sono belle calde e morbide, potrebbe bastarvi una forchetta, ma dovrete essere sicuri di averle schiacciate per bene.

Che non vi venga la malaugurata idea di usare un mixer -con le lame- per fare prima: vi ritrovereste con un composto colloso buono solo per il compost.

Radunate le patate schiacciate a fontanella sulla spianatoia, aggiungete il tuorlo e gradualmente la farina (io ho usato quella di farro perché avevo sotto mano quella, ma ve la consiglio se siete leggermente sensibili al glutine, perché più tollerabile).
Le mie patate erano già condite, quindi non ho avuto necessità di salare e pepare il mio composto, voi regolatevi a vostro gusto.

Impastate fino ad ottenere una palla piuttosto liscia.
Non sono un'esperta, perché è la mia prima volta, ma l'impasto è pronto quando non risulta più appiccicoso: quindi può darsi che a voi serva più farina o meno farina di quanto vi ho segnato in ricetta.
Fidatevi del vostro istinto.

Dividete l'impasto in quattro e realizzate dei salamotti di un paio di centimetri di diametro.
Tagliate i salamotti a tocchetti regolari (1-2cm) e, aiutandovi con altra farina, fateli scorrere sui rebbi di una forchetta, trascinando delicatamente la pasta con il pollice.

In realtà potete tagliarli semplicemente a tocchetti e cuocerli direttamente, ma per me gli gnocchi sono fatti così e si sa che i ricordi d'infanzia dettano molte regole.



Cuoceteli in acqua bollente salata finché non vengono a galla.
Scaldate il pesto di piselli in padella con un po' di acqua di cottura e fateci mantecare gli gnocchi scolati.

Serviteli caldi, con dei pisellini freschi, qualche fogliolina di basilico e una spolverata non necessaria ma assolutamente inderogabile di Parmigiano.

Una grattata di pepe, un filo di olio e avrete realizzato un piccolo capolavoro.

Ah, che sofferenza la cucina.

Io che credevo di poterne tranquillamente fare a meno, mi trovo a sognare questi soffici cuscini di patate, che avvolti nella cremosa dolcezza di questo pesto sono tra i primi piatti più gustosi che mi sia capitato di realizzare.

E ve lo dice una a cui non piacevano gli gnocchi!



venerdì 25 maggio 2018

Composta di fragole alla chia // Salvando fragole



Sappiate che mi sto trattenendo con le ricette a base di fragole, perché essendo stagione rasento la mania compulsiva: ne compro più di quanto ne riesca effettivamente a mangiare e anche se ne ho  comprato un cestino -magari il giorno prima- e le vedo belle, rosse e profumate, non resisto e ne compro altre.

Con l'ovvio problema che, inevitabilmente, le più mature iniziano a deperire tristemente nel mio frigo.
Sono sicura che sapete cosa intendo: cominciano a perdere di freschezza, togliendoci un po' la voglia di mangiarle nude e crude.

Ovviamente non dovete aspettare che le vostre fragole abbiano il musino triste per realizzare questa ricetta, ma di solito è così che capita nella mia cucina...semplicemente perché quando sono pingui e succose finiscono direttamente tra le mie fauci.


E poi ormai lo sapete che la mia e spesso una cucina del recupero, anche se mi piace sempre sperimentare e tentare cose nuove: ecco il perché della chia.

Lo spunto per utilizzare questo curioso semino, lo devo ad un'amica in dolce attesa che mi ha confessato di avere qualche problemino di motilità intestinale (probabilmente mi ucciderà quando leggerà queste parole! XD).

Le ho consigliato subito la chia, perché su di me ha esercitato un effetto prorompente (e vi assicuro che non ne ho alcun bisogno!), quindi ho immaginato che a lei potesse dare il giusto risultato.

Ma, diciamolo, se mai l'avete provata in un chia pudding tanto in voga, l'effetto non è dei più entusiasmanti: i semini reidratati paiono un po' uova di rana.
E anche lei lamentava una certa diffidenza in tal senso.

Così ho pensato di utilizzarla -in minor quantità- per questa composta di frutta: la consistenza morbida delle fragole e i sui semini, mascherano la presenza della chia, che però esercita il suo potere addensante regalandoci oltretutto le sue proprietà.
  
Chissà se la mia amica apprezzerà...!?


Per un vasetto di composta:
  • 250-300gr di fragole
  • 2-3 cucchiai abbondanti di miele millefiori o arancia
  • 2-3 cucchiaini di semi di chia (facoltativo)
  • 1/2 stecca di vaniglia (anche recuperata da altre preparazioni oppure un cucchiaino di estratto
  • qualche goccia di succo di limone

La preparazione è veramente semplicissima: tagliate le fragole a tocchetti e irroratele con qualche goccia di succo di limone.

Nel frattempo fate caramellare il miele in una padella, insieme alla vaniglia.
Deve fare delle grandi bolle e iniziare a scurirsi leggermente, assumendo una sfumatura ramata.

Buttateci le fragole -facendo attenzione a non scottarvi con il miele bollente- e lasciate cuocere qualche minuto.
Io dopo 5-8 minuti massimo, spengo: in questo modo le fragole conservano la loro forma e restano piacevoli da mangiare, ma se le preferite più cotte e "cremose", proseguite la cottura fino ad ottenere la consistenza che desiderate.

A fine cottura, se lo desiderate, aggiungete la chia: questo semino (la cui pianta appartiene alla famiglia della salvia e della menta) ha millemila proprietà nutritive ma, come già accennato, la cosa interessante dell'aggiungerlo ad una composta con poco dolcificante e senza aggiunta di pectina, è che reidratandosi nei succhi rilasciati dalla frutta, la addensa, creando un ulteriore gioco di consistenze che in questo contesto trovo davvero interessante.

Se se la chia non è proprio nelle vostre corde, non volete acquistarla, o per qualsiasi altra ragione non vogliate arrischiarvi ad usare questo semino, potete addensare la composta sciogliendo un cucchiaino di amido di mais in due cucchiaini di acqua e versarlo nella padella ad un paio di minuti dal termine.


Comunque decidiate di preparare questa composta, provatela: salverete delle fragole dall'oblio e avrete tra le mani qualcosa di delizioso che vi terrà compagnia a colazione, a merenda o per uno spuntino qualsiasi.

Io la utilizzo tanto a colazione, così posso evitare di trafficare con il coltello di prima mattina, soprattutto quando ho fretta: yogurt, granola e un cucchiaio scarso di questa meraviglia e la colazione è servita.

Ma chi sono io per impedirvi di usarla come vi pare...?

(Una che ha un blog e non può fare a meno di darvi un consiglio: nel prossimo post vi darò un'idea carina! #restateconnessi!)



venerdì 11 maggio 2018

Galette ai lamponi con frolla all'olio e frangipane di pistacchi // Le mille e una notte in un guscio di pasta



Galette: francesismo che si riferisce ad una base di pasta -sfoglia, frolla o brisée,- farcita solitamente di frutta fresca, ma anche con verdure, formaggi, eccetera -in versione salata- cotta senza stampo.

In realtà comprenderebbe anche altre preparazioni, ma nella mia cucina, la galette, è questa.

La preparo molto più spesso e volentieri di quanto possa dimostrare perché è comodissima per recuperare avanzi di frolla (anche minimi dato che non siamo vincolati dal diametro di una stampo) che possono stazionare nel vostro frigo dopo altre preparazioni, magari più importanti.

E' innegabilmente una torta di casa, rustica, ma credo sia proprio questo il suo bello.

Sto sperimentando con la frolla all'olio e fin'ora la versione che vi propongo è la mia preferita, perché trovo che l'olio extravergine gli dia una marcia in più.
Ma nessuno, men che meno la sottoscritta, vi impedisce di usare una frolla tradizionale che avete già a disposizione o la ricetta a prova di bomba che usate abitualmente.
(Se volete utilizzate prodotti confezionati, io mi giro dall'altra parte, ma non vi giudicherò...troppo.)

Stessa cosa per la scelta della farcitura, che può essere anche solo di frutta, senza la crema, e vi consiglio -mettendo le mani avanti- di provare, per esempio, con le fragole: adoro i lamponi e mi piace il loro sapore acidulo in contrapposizione a gli altri ingredienti, ma ammetto che da cotti hanno una consistenza un po' granulosa (dovuta ai semini) che può non essere gradita a tutti.

Ma andiamo, che vi spiego la questione.

Vi avanzerà sicuramente della crema frangipane (potreste dimezzare le dosi, ma trovo sempre poco ortodosso dividere un uovo): cuocetela per una mezz'oretta in un paio di cocottine con altri lamponi o delle fragole e averete un dolcetto in più con cui deliziarvi... 

Per la frolla all'olio (per questa ricetta ne basterà 1/2 dose):
  • 250gr di farina 00 (oppure 125 di farina integrale bio*, 125gr di farina di farro monococco)
  • 80gr (o 100 a vostro gusto) di zucchero semolato (o di canna, ma NON Dulcita e MEN CHE MENO Muscovado)
  • 100ml di olio e.v.o. (o di semi)
  • 1 uovo
  • 1/2 cucchiaino di lievito per dolci
  • estratto di vaniglia
  • la scorza non trattata di 1/2 limone
  • 20 ml circa di acqua fredda acidulata con del succo di limone
*(Non sono fanatica del biologico ma le farine integrali, per esempio, tendo sempre a preferirle bio: la fibra che ritroviamo nella farina è la parte più esterna del chicco quindi, potenzialmente, anche la più esposta a pesticidi e trattamenti chimici. Inoltre è più facile trovarne versioni macinate a pietra, con la certezza che sia quindi realmente integrale -dalla crusca al cuore del chicco- e non una farina bianca con aggiunta di crusca, come a volte capita. Mi permetto di aggiungere, quando possibile, di preferire il biologico italiano: i nostri produttori e le nostre normative sono le più rigide e scrupolose  d'Europa.)


Mettete le farine (o la farina 00) in una ciotola con lo zucchero, il lievito, il pizzico di sale e la scorza di limone. Mescolate brevemente e, continuando a mescolare, versate l'olio a filo finché il composto non sarà ben sabbiato assumendo -guarda caso- l'aspetto della sabbia umida.

A questo punto aggiungete l'uovo sbattuto con l'estratto di vaniglia e amalgamate; se necessario aggiungete, poche gocce alla volta (non necessariamente vi servirà tutta), l'acqua acidulata finché il composto non inizierà a legarsi, formando una palla. 

Se avete la fortuna di avere un impastatore, o anche un mixer con le lame, usateli: meno maneggiate la frolla meglio è.  

Avvolgete la pasta ottenuta nella pellicola per alimenti e lasciatela riposare in frigo per almeno un'oretta: questo riposo non farà rassodare la pasta, che a differenza della versione con il burro sarà subito pronta da lavorare, ma servirà a far rilassare l'eventuale glutine sviluppatosi durante la lavorazione, rendendo il prodotto finale più friabile.

Nel frattempo preparate il frangipane:
  • 100gr di burro a temperatura ambiente (o margarina senza grassi idrogenati, se volete mantenere la ricetta senza lattosio)
  • 80gr di zucchero semolato (o di canna)
  • 1 cucchiaio di miele millefiori o di agrumi
  • 50gr di farina di mandorle
  • 50gr di pistacchi tritati molto finemente
  • 1 uovo
  • 1 cucchiaio raso di farina 00
  • 1 cucchiaino di acqua di rose, o estratto alcolico
  • la scorza non trattata di 1/2 limone 
  • 1/4 di cucchiaino di cardamomo in polvere (facoltativo)
  • qualche goccia di estratto d'arancia (facoltativo)
Se avete visto la mia galette alle mele e caramello di datteri su instagram e preferite qualcosa di simile, vi basterà cambiare frutta! E la ricetta del caramello di datteri la trovate qui.

Per terminare la torta:
  • 2 cestini di lamponi freschi
  • una manciata di pistacchi tritati grossolanamente
  • boccioli di rosa per tisana (facoltativo)
Lavorate il burro (o la margarina) con lo zucchero, e una volta che sarà leggermente montato, aggiungete l'uovo, mescolando ancora.
Il composto tenderà a separarsi, ma aggiungendo la farina 00 e quelle di frutta secca, si sistemerà tutto. 
Aggiungete le spezie e gli aromi e mescolate per amalgamare.

Fate riposare il composto in frigorifero; nel frattempo stendete la frolla (che potete scegliere se dividere a metà o utilizzare tutta) mantenendo lo spessore di circa 5 millimetri. 
Vi consiglio di farlo direttamente sul foglio di carta forno che userete per cuocerla: in questo modo non dovrete più spostarla una volta stesa.

Riprendete la crema frangipane e stendetene un paio di cucchiaiate abbondanti sulla base di frolla stesa lasciando un comodo bordo; arrangiate i lamponi (o fragole, o la frutta che preferite) sulla crema e ripiegatevi la pasta attorno, per contenerli.

Spolverate con una manciata di pistacchi tritati grossolanamente e infornate a 180° per almeno un'ora; la torta sarà pronta quando la frolla sarà bella colorata e il frangipane sarà ben rassodato.

Una volta sfornata, se vi va, cospargete la vostra galette con petali di rosa secchi per richiamare l'acqua di rose nel frangipane.

Una volta raffreddata completamente, servitela e consumatela il prima possibile, dato che l'umidità della frutta tenderà a farle perdere croccantezza piuttosto velocemente.

Gustatela con una cucchiaiata di yogurt dolcificato con poco miele, sorbendo del tè alla menta. 
E l'atmosfera da mille e una notte è assicurata.




giovedì 18 gennaio 2018

Vaniglia, vaniglia e ancora vaniglia // La bacca che visse tre volte



Chi mi legge da un po' sa che non amo la vanillina, anche se ammetto che usata con giudizio può avere il suo perché.

Purtroppo però, quel che non mi va giù, è che la vanillina altro non è che un'essenza chimica e, in qualunque modo la mettiate, nient'altro che un inganno per i nostri sensi.

So che la vaniglia ha un costo estremamente elevato, ma è qui che vi vengo in soccorso io.
Certo, non ho il magico potere di farvi spendere meno nell'acquisto della materia prima, ma posso mostrarvi come utilizzarla fino all'ultimo grammo.

Il primo step è usare i semini che si trovano all'interno di ogni baccello: sono sicura che avrete visto più di uno chef aprirne uno per la lunga e grattare via dei grumetti di pasta scura.

Questa parte è il top del top per i dolci, l'anima assoluta della vaniglia.

Usatela bene e godetene tanto.

Baccelli di vaniglia "esausta"

Quel che ci rimane a questo punto è il baccello "vuoto", che si può comunque utilizzare per infondere la panna o il latte per una crema, infilarla in un vaso di zucchero per aromatizzarlo, per realizzare un estratto alcolico, o qualsiasi altra preparazione che preveda un'infusione.

Ma ci stiamo solo scaldando.

Una volta utilizzati i baccelli come più preferite, non li buttate.
Se li avete usati per una crema, sciacquateli bene e lasciateli asciugare per qualche giorno.
Potete recuperarli di volta in volta dopo ogni preparazione, conservandoli -asciutti- in un vasetto dedicato.

Quando ne avrete una bella manciata, passare allo step successivo:

Estratto di vaniglia -in pasta-

  • 200gr di zucchero superfino
  • 200ml di acqua
  • 3 cucchiaini (circa 50gr) di glucosio (facoltativo ma consigliato*)
  • 10-15 baccelli di vaniglia "esausta"


In un piccolo, ma potente, frullatore (meglio ancora un macina caffè pulito o un macina spezie) frullate grossolanamente lo zucchero con i baccelli di vaniglia.

Non è importante che la vaniglia venga polverizzata in questa fase, ma con questo passaggio stiamo già iniziando ad estrarre aroma dai baccelli.

Trasferite lo zucchero alla vaniglia in un pentolino e aggiungete l'acqua e il glucosio (*questo ingrediente non è strettamente necessario, ma aiuta la consistenza finale e, a mio parere, anche la conservazione).

Accendete il fornello a fuoco medio alto e portate a bollore.
Raggiunta l'ebollizione, abbassate la fiamma e lasciate cuocere per una decina di minuti.

Trascorso questo tempo, filtrate il composto, in modo da recuperare la parte fibrosa della vaniglia.
Rimettete la fibra recuperata, ormai ammorbidita dalla cottura, nel frullatore e frullate fino ad ottenere una poltiglia grossolana.
Se necessario aggiungete un po' dello sciroppo filtrato per aiutarvi a frullare.

Rimettete sciroppo e fibra frullata nel pentolino e fate cuocere altri 10 minuti, mescolando di tanto in tanto.

A questo punto filtrate nuovamente attraverso un colino a maglie fini, premendo con un cucchiaio per estrarre fino all'ultima goccia di sciroppo.


Controllatene la consistenza, che dovrà avere un certo corpo (ma non eccessivamente: raffreddandosi e conservandolo in frigo tenderà ad addensarsi ulteriormente).
Se siete soddisfatti, travasatelo in vasetti o bottigliette sterilizzate, etichettate e conservate in frigorifero.

Se la consistenza vi dovesse sembrare troppo acquosa, cosa che può succedere se non utilizzate il glucosio, trasferite nuovamente lo sciroppo nel pentolino -pulito- e fate ridurre a fuoco medio basso per un'altra decina di minuti, ma fate attenzione a non esagerare se non volete ritrovarvi con un caramello invece di uno sciroppo.

E, ve lo devo dire: questo sciroppo-pasta di vaniglia è una bomba.
Seriamente, è quasi più intenso dei semi di vaniglia in purezza, cosa piuttosto sconvolgente se pensate che è realizzato con un prodotto che saremmo stati pronti a buttare.

Ma non è finita qui.
Pensavate, finalmente, di potervi sbarazzare della fibra avanzata da questa lavorazione?
Fermi dove siete!

Certo, è ormai piuttosto sfruttata, ma se provate ad annusarla e a guardare con attenzione tra le fibre ormai scolorite vi accorgerete che ha ancora un delicato e piacevole aroma e che qualche semino è ancora presente.
Quindi perché buttarla?

Fibra di vaniglia secca. Dall'aspetto un po' ambiguo, lo so...


Alcune industrie produttrici di gelato, utilizzano proprio questo tipo di scarto da aggiungere ai loro gusti "vaniglia" (aromatizzati artificialmente), per replicare l'effetto dei semini e dare l'illusione di essere fatti con vera vaniglia.
(Per la serie, "l'inganno dei sensi"...)

Quindi, ok, non è più il top del top, ma può ancora darci grandi soddisfazioni.

Trasferite le fibre di vaniglia su un vassoio -ancora meglio un cestino di fibre naturali, che favorisce il passaggio dell'aria- e lasciatele asciugare perfettamente.

Essendo impregnate di zucchero, ci metteranno qualche giorno, quindi se lo possedete e volete accorciare i tempi, vi consiglio di fare un passaggio in essiccatore per almeno una notte.
(In alternativa sfruttate il calore residuo del forno una volta spento, lasciando le fibre ad asciugare fino a raffreddamento.)

Una volta secche, frullate le fibre in un frullatore piccolo ma potente (come prima: l'ideale sono un macina spezie o un macina caffè pulito), fino ad ottenere una polvere.
Setacciatela e frullate nuovamente ciò che rimane nel colino, in modo da recuperare fino all'ultima fibra di vaniglia.


Questa polverina è estremamente delicata e leggermente dolce, mi piace chiamarla "vaniglia quotidiana" perché è quella che utilizzo anche tutti i giorni nei frullati, in qualche cappuccino aromatizzato e in tutte quelle preparazioni di casa dove desidero un accenno di vaniglia senza arrivare a sacrificare una bacca e, sicuramente, senza ricorrere alla vanillina.




mercoledì 13 dicembre 2017

Burro di mele // Salvando pomi


In autunno e inverno trovo che un vassoio pieno di melograni, arance, o altra frutta di stagione, rendano la casa accogliente e lo preferisco di gran lunga ad un mazzo di fiori coltivati in serra.
Il che è anche un vantaggio, soprattutto con gli agrumi, che finiscono man mano nelle mie spremute mattutine -spesso corrette con del succo di melograno: da provare!-, e vengono sostituite velocemente.

Ma le mele e le pere, che di solito spero di usare in qualche dolce o, utopisticamente, come salutare spuntino pomeridiano -ma che di solito è un tea-, finiscono spesso per appassire, intonse, diventando il monito tangibile della mia trascuratezza.

Ed ecco l'input per questa ricetta semplicissima che potrete declinare a vostro piacimento con le mele o le pere (ma in estate potete cimentarvi anche con pesche e albicocche) della vostra fruttiera, che magari hanno visto giorni migliori.


Per un vasetto di Burro di Mele:

  • almeno 1/2 kg di mele (adoro le Gala e le Renette, ma usate quel che avete, anche un mix di varietà)
  • un paio di cucchiaini di miele (facoltativo)
  • cannella o vaniglia o altri aromi a piacere (facoltativo)
  • il succo di 1/2 limone (di uno intero se volete che la vostra purea rimanga più asprigna) 
  • succo di mela limpido (non dolcificato!) o acqua q.b.


-Chiedo venia se come al solito vi do delle dosi un po' approssimative, ma essendo una ricetta di recupero, quel che è importante è il procedimento più che seguire gli ingredienti al grammo, dato che ognuno avrà in casa cose diverse, quantità diverse e inevitabilmente anche gusti diversi!-

Sbucciate e tagliate le mele a tocchetti, eliminando le eventuali imperfezioni della polpa. 

Trasferiteli in una pentola dal fondo spesso (ancora meglio se utilizzate una pentola di ghisa o di coccio, quella dove si fanno stufati e minestre, per intenderci) con il succo di limone, gli aromi e, se utilizzato, il miele. 

-Ho voluto mettere il miele come ingrediente facoltativo perché essendo le mele molto mature e avendo accompagnato la cottura con del succo di mela, il prodotto finale è risultato un po' troppo dolce per i miei gusti. Ma a voi la scelta.-

Cuocete a fuoco medio-basso, tenendo la pentola coperta. Controllate di tanto in tanto, e se il fondo iniziasse a colorirsi troppo, aggiungete poca acqua (non più di 2-3 cucchiai alla volta) o succo di mela. 


Proseguite la cottura fino a che le mele non si spappoleranno facilmente se schiacciate con il mestolo e il liquido di cottura sarà ridotto al minimo, risultando sciropposo.

A questo punto togliete dal fuoco e con un frullatore ad immersione (in alternativa trasferite tutto nella brocca di un frullatore o in un mixer, compreso il liquido di cottura rimasto) riducete le vostre mele in purea.

Rimettete sul fuoco, sempre medio-basso, e continuate la cottura finché anche il rimanente liquido di cottura non sarà evaporato.
Non posso darvi un tempo di cottura esatto, perché molto dipende dal tipo di mele che utilizzerete, dal loro grado di maturazione, da quanto liquido avete dovuto aggiungere durante la cottura.

Per essere sicuri che il vostro burro di mele è pronto, potete fare la "prova del piattino": versate mezzo cucchiaino di purea su un piattino e verificate se tende a separarsi, rilasciando del liquido. Se sì, dovete cuocere il burro di frutta ancora un po', se invece rimane bello compatto, uniforme e piuttosto lucido, fermatevi pure e travasate nel vostro -o vostri- vasetto sterilizzato. 

E questo è quanto. 

Come avete visto il procedimento è veramente molto semplice e lascia campo libero a molteplici rielaborazioni. Uno dei miei primi tentativi è questo burro di pere al vino speziato, che credo sia fin'ora il mio preferito: vino rosso e arancia (succo e scorza), cannella, chiodi di garofano e anice stellato. Da urlo.


Molto buono anche un burro di mele all'earl grey, con bergamotto e infuso di tea (potevo io esimermi?).
Ma non fermatevi qui: dove c'è aggiunta di liquido, c'è un'opportunità di aromatizzazione quasi infinita.
E non ho nemmeno tirato in ballo le spezie...

Se poi pensate: "Cosa me ne faccio di questa pappetta", vi rispondo chiedendovi di immaginare questo pane (o magari questo) sostituendo la base con un burro di questi dall'aroma dei vostri sogni, e avrete creato qualcosa di inedito e totalmente personalizzato. 
E delizioso, si intende.

Non sto nemmeno a dirvi che potete spalmarlo sul pane, accompagnarci dei pancake, mischiarlo a dello yogurt, aggiungerlo alla vostra colazione, regalarlo per Natale...

Tanto lo so che avete più fantasia di me!

domenica 27 agosto 2017

Ciambelline albicocca e camomilla //Delicata come un fiore, dolce come il miele


Era da un po' che volevo utilizzare la camomilla in un dolce.
Adoro il suo profumo intenso e confortante.
Ne ho fatto anche un estratto, con cui mi balocco mentalmente dall'anno scorso, ma che non avevo ancora avuto modo di valorizzare nel modo giusto.

Finché non sono incappata in una ricetta di Nigella Lawson -sì, lei è la mia preferita-, in cui non è presente la camomilla, ma che mi ha stuzzicata per l'uso particolare di un altro ingrediente che si sposa benissimo con il profumo di questi fiori: l'albicocca.

Vengo velocemente al dunque perché, anche se la ricetta non è per nulla difficile, la decorazione che mi sono inventata richiede qualche passaggio quindi, andiamo:


Per 24 ciambelline (12 grandi e 12 piccole)*:
  • 75gr di albicocche secche
  • 125ml di acqua
  • 1 cucchiaio colmo di camomilla per tisane (possibilmente quella intera, non la polvere delle bustine)
  • 100gr di farina di mandorle
  • 25gr di farina di mais (tipo Fioretto)
  • 1/2 cucchiaino di lievito
  • 50gr di zucchero
  • 25gr di miele d'acacia (o altri 25 di zucchero)
  • 3 uova
  • 1 cucchiaino di succo di limone
  • 1/2 cucchiaio di estratto di camomilla (o un liquore aromatizzato)
(*sentitevi liberi di raddoppiare le dosi se volete realizzare una torta)


Mettete le albicocche e la camomilla in un pentolino con l'acqua.
Portate a bollore finché l'acqua non sarà stata assorbita quasi del tutto.
Spegnete e lasciate raffreddare: il riposo permetterà all'acqua rimasta di essere assorbita completamente.

Una volta fredde, mettete la camomilla e le albicocche rinvenute in un mixer -quello con le lame- e frullate brevemente, fino a ridurre il tutto in una purea grossolana.
 
Aggiungete tutti i restanti ingredienti e frullate fino ad ottenere un composto omogeneo.
 
Trasferite in una sac à poche: lo so che pare pretenzioso, ma è l'unico modo che mi permette di non fare disastri mentre distribuisco l'impasto negli stampi. Ma siete liberi di utilizzare qualunque metodo vi sia più congeniale.

Cuocete a 180° per 15-20 minuti. In ogni caso fate la prova dello stecchino.
(Se optate per la torta, potrebbero volerci anche 40 minuti.)



Sfornate le ciambelline e lasciatele raffreddare.

E siamo finalmente arrivati alla parte divertente: la decorazione.
Procuratevi un pezzo di pluriball -sì, quello per imballare- e lavatelo accuratamente con del sapone neutro poco profumato e la parte non abrasiva della spugna: questo passaggio è inderogabile, mi raccomando!
 
Asciugate sommariamente e, se possibile, lasciate asciugare all'aria per qualche ora.

Nel frattempo preparate la “glassa”:
  • 150-200gr di cioccolato bianco
  • 1 cucchiaio di olio di cocco
  • un pizzico di sale
  • la punta di un cucchiaino di colorante alimentare naturale in polvere giallo (facoltativo)
  • miele millefiori montato* (facoltativo)
  • fiorellini edibili come quelli di basilico, melissa o altre aromatiche o della camomilla da tisana come quella usata nella ricetta (facoltativo)
  • polline (facoltativo)



(*Per realizzare il miele montato vi basterà sbattere del miele cristallizzato con le fruste elettriche fino a renderlo bianco e cremoso e non ci saranno più cristalli percettibili: questa tecnica è utilizzata anche dagli apicoltori per recuperare del miele “vecchio”. Il risultato è strepitoso e si evita di scaldarlo troppo -spesso il miele viene sciolto a bagnomaria per farlo tornare liquido- cosa che ne danneggia proprietà nutritive e organolettiche.) 

Sciogliete il cioccolato a bagnomaria con l'olio di cocco, il sale e il colorante -se usato-.

Appoggiate il foglio di pluriball su una placca da forno piatta o un vassoio che possa stare comodamente in piano nel vostro frigorifero.

A questo punto ci divertiamo: pucciate abbondantemente una faccia delle ciambelline nel composto di cioccolato bianco e poi appoggiatele sul pluriball.
Una volta “glassate” tutte le ciambelline, trasferite in frigorifero e lasciatele rapprendere per almeno una mezzora.



Una volta rassodate, non cercate di staccarle dal pluriball o rischierete di rovinarle: (parlo per esperienza!) prendete il foglio e giratelo sottosopra in modo da appoggiare il culetto delle ciambelline sul piano di lavoro.
 
A questo punto tirate via il pluriball dalle ciambelline, una alla volta, reggendole da sotto per facilitare l'operazione.
Una volta liberate, terminate la decorazione riempiendo qualche “alveolo” con del miele montato e cospargendole di fiorellini edibili e polline.

Se non vi va di imbarcarvi in questa impresa, glassate semplicemente le ciambelline con il composto al cioccolato e cospargetele con qualche fiorellino edibile o di camomilla e lasciatele raffreddare in frigo “a pancia in su”. 
E nessuno si lamenterà.

Già, perchè il bello di questi dolcetti non sta tanto nella decorazione, quanto nel sapore.
La decorazione anzi, è ispirata al sapore mieloso che albicocche e camomilla insieme riescono a creare.
Un abbinamento che vale la pena di tenere a mente e di esplorare in modo più approfondito.



Chiudo dicendo che vorrei dedicare questo post all'operosità delle api.
Ho letto che quest'anno, con tutti gli incendi che ci sono stati, ne sono morte tantissime.
Pessima notizia dato che sono già in pericolo a causa dell'uso smodato di pesticidi.
Questi minuscoli totem della fecondità sono i fautori della biodiversità e distribuiscono la vita di fiore in fiore, garantendo la continuità delle specie sul nostro pianeta.
Compresa la nostra.

E nel farlo producono qualcosa di tanto delizioso come il miele.
Dovremmo essere più grati a questi piccoli esserini. 
Ricordiamocelo la prossima volta che compriamo un barattolo di miele.