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lunedì 15 giugno 2020

Plumcake alla barbabietola // Se non è rosa fiorirà lo stesso

Vi mancavano i miei titoli da scoppiata, dite la verità...

Ho deciso di proporvi questa ricetta un po' perché le foto dei primi tentativi hanno un avuto discreto successo su Instagram, sicuramente per il colore vivo dell'impasto, e un po' perché vorrei introdurvi dolcemente ad alcuni temi che mi stanno particolarmente a cuore e ho pensato che questo potesse essere un ottimo inizio.

Il titolo fa parte della strategia. Seguitemi...

Oltre ad avere una verdura (che io amo particolarmente) nell'impasto, questo plumcake è senza glutine e senza zucchero.
Vi vedo che alzate gli occhi al cielo: “Mo' pure questa con 'sto glutine e sto benedetto zucchero! E senza questo e senza quello...e pure senza de me, grazie!”
E via, verso un altro blog senza senza!

Ma aspettate, se potete. 
Se fin'ora le mie ricette vi sono sembrate sfiziose e magari ne avete provata qualcuna che vi è venuta discretamente...restate ancora un po'.


I miei senza sono motivati dal mio annoso problema di pelle che nell'ultimo anno sono riuscita a tenere (più o meno) sotto controllo evitando alcuni alimenti che ho scoperto essere per me infiammatori.
A breve consulterò un altro professionista che dovrebbe aiutarmi in questa battaglia e la mia speranza è di poter finalmente guarire alla radice, per poi poter tornare a reintrodurre la maggior parte delle cose che ho tolto...pane fatto in casa aspettami!!!!!!

Detto ciò, come ho sempre pensato, se il viaggio va fatto, meglio renderlo piacevole.
Ed è questo che si propongono le ricette che vi regalerò prossimamente: restare a dieta senza punirsi, guarire senza rinunciare ad una coccola...senza tristezza.

Vi ho convinto?
Forse ancora no...

Allora vi dico che questo dolcetto sa di pasta di mandorle all'arancia, è morbidissimo, umido al punto giusto e la glassa che lo ricopre tiene testa alle ganache al cioccolato bianco più burrose mai assaggiate.

Meglio?


Vi spiego la ricetta e non ne parliamo più:

Per un plum cake da 8x15cm o 6-8 muffins
  • 100gr di barbabietola cruda pulita e tagliata a dadini
  • 1 cucchiaino di agar agar (in polvere, 2 se in fiocchi)
  • 1 cucchiaio di gelatina (colla di pesce) in polvere (facoltativa)
  • 2 uova intere
  • 50gr di farina di mandorle
  • 30gr di farina di cocco (non il cocco rapè ma farina di cocco)
  • 10gr di amido di tapioca (o di mais o fecola di patate)
  • 1 cucchiaino abbondante di lievito per dolci
  • 3 cucchiaini di Truvia (o dello zucchero o il dolcificante che preferite)
  • 30gr di yogurt di cocco
  • 40 gr di olio di cocco sciolto
  • 2 cucchiai di latte vegetale
  • il succo di ½ limone
  • la scorza di un'arancia
  • qualche goccia di aroma di mandorla


Prima di passare al procedimento davvero molto semplice, vorrei spiegarvi una paio di cose sugli ingredienti usati.

Truvia (eritritolo con Stevia): non è necessario alla riuscita della ricetta, quindi se per voi il senza zucchero non è fondamentale, sentitevi liberi di usare quello che preferite (normale, di canna, di cocco) o il dolcificante (miele, sciroppo d'acero, sciroppo d'agave) che usate abitualmente e di aumentarne la dose (fino a 4-5 cucchiaini), occhio però se scegliete di utilizzare un dolcificante liquido come lo sciroppo d'agave o il miele: potreste dover omettere o ridurre la quantità di latte che viene data in ricetta.

Latte vegetale e yogurt di cocco: io li utilizzo perché ormai da tempo non consumo più latticini, ma se voi li utilizzate, via libera a latte e yogurt tradizionali.

Gelatina in polvere: è un'aggiunta che ho iniziato a fare di recente. Non è strettamente necessaria, dato che il lavoro più importante sulla consistenza lo fa l'agar agar (che agisce come la gomma di xantano o guar negli impasti senza glutine, ma con meno controindicazioni), ma trovo che la consistenza finale ne giovi. Io la aggiungo più che altro perché ho scoperto che aiuta a riparare le pareti intestinali e dello stomaco, oltre che a fornire un apporto in più di proteine, cosa piuttosto utile se state tenendo sotto controllo il vostro consumo di carboidrati e la glicemia.


Barbabietola: non vi spaventate! Se vi preoccupa il sapore, vi giuro che non si sente minimamente. Confesso che qui l'ho usata principalmente per dare colore all'impasto (che non è proprio rosa shocking come avrei voluto, ma trovo abbia un bellissimo colore comunque) anche se in realtà regala umidità, consistenza e anche una certa dolcezza al prodotto finale. 
Inoltre pensateci un po': state mangiando della verdura, con tutte le sue proprietà (se non ricordo male protegge il fegato e aiuta la produzione di bile), mentre credete di mangiare un dolce.
Cosa volete di più!?

Succo di limone: l'ho aggiunto per aiutare la barbabietola a mantenere il suo colore. E' un processo chimico con il quale non vi annoierò -sospiro di sollievo-, ma se siete audaci e volete sperimentare, potreste eliminare del tutto l'aggiunta del latte e aumentare la dose di succo di limone arrivando ad un limone intero e magari aggiungendo anche un cucchiaino di aceto di mele, come nella red velvet. L'acidità aiuta a mantenere il pigmento rosso della barbabietola più vivo, evitando che in cottura si ossidi troppo. 

Fatemi sapere se sperimentate!



Ma veniamo finalmente al procedimento: 

Nel bicchiere del frullatore ad immersione, mettete la barbabietola a tocchetti piccoli, le uova, lo yogurt, la scorza d'arancia, il succo di limone e il dolcificante.

Frullate per bene, fino ad ottenere un composto omogeneo. 

In una ciotola capiente mettete le farine, l'amido, il lievito, l'agar agar, la gelatina se usata.

Mescolate e unite l'olio di cocco in modo da farlo assorbire bene alle polveri.

Sempre mescolando, unite il composto di uova e barbabietola e l'aroma di mandorle.

Amalgamate bene fino ad ottenere un composto uniforme. 
Aggiungete i due cucchiai di latte se necessario.

Trasferite il composto nello stampo precedentemente unto e foderato con carta forno e cuocete a 180° per circa 25-30 minuti (anche meno se optate per dei muffin) o finché uno stecchino inserito al centro non uscirà pulito.

Fate raffreddare una decina di minuti prima di sformare, ma non lasciatelo raffreddare nello stampo troppo a lungo: essendo un impasto molto umido tende a creare condensa.
Lasciate raffreddare completamente prima di glassare.



Per la glassa al cioccolato bianco vegan:
  • 4 cucchiai (circa 60gr) di burro di cocco
  • 4 cucchiai (  “  ) di burro di anacardi
  • 2 cucchiai (circa 30gr) di olio di cocco sciolto
  • 2 cucchiai (  “  ) di burro di cacao sciolto
  • 1 cucchiaino scarso di Truvia in polvere (o il dolcificante che preferite: vedi sopra)
  • ¼ di cucchiaino di essenza di vaniglia (o vaniglia in polvere o una grattata di fava di Tonka
Per la decorazione (facoltativa):
  • una manciata di noci rosse
  • 2-3 boccioli di rosa secchi
  • un cucchiaino di polline
A parte il dolcificante, per il momento, non vi posso dare consigli per sostituire nessuno degli ingredienti, perché credo che contribuiscano tutti al sapore finale che è davvero sorprendente. 
...ma vi saprò dire più avanti.

In ogni caso il procedimento è davvero molto semplice, vi basterà unire tutti gli ingredienti e mescolare bene, magari con una piccola frusta, fino ad ottenere un composto omogeneo.
Trasferite la ciotola in frigo, ma non vi allontanate. 

Ogni 5-10 minuti controllate la consistenza e dategli una mescolata (tenderà a solidificarsi dai bordi). Dovrete farlo due o tre volte per raggiungere la consistenza spalmabile che ci serve.



(Se non vi interessa utilizzarla come glassa, trasferite il composto direttamente in un contenitore rettangolare e fatelo solidificare in frigo per poterlo poi tagliare a cubetti. Esattamente come nella ricetta del fudge vegano che vi ho dato tempo fa e che può diventare anch'esso un'ottima glassa, se questa non è nelle vostre corde ) 

A questo punto riprendete il vostro plumcake, o i vostri muffins, e glassateli con la crema ottenuta.
Decorate con le noci tritate, i petali di rosa secchi e il polline, o con quello che preferite (posso suggerire dei cranberries secchi?). 
Trasferite in frigo fino a che la glassa non finisce di solidificarsi.
(Se vi avanza della glassa come è successo a me, potete seguire lo stesso consiglio dato qui sopra).

Vi suggerisco di conservare questo dolce in frigorifero in un contenitore ermetico, non solo perché la glassa fuori dal frigo tende a sciogliersi in breve tempo ma anche la base, essendo molto umida, se non conservata al fresco si rovina in fretta, soprattutto con il caldo. 

Prima di tagliarlo però, fategli riprendere temperatura altrimenti se la glassa è troppo fredda tenderà a staccarsi dal dolce. 

E questo e quanto!
Come sempre spero di non esser stata troppo verbosa e prolissa e che la ricetta vi ispiri a cimentarvi. 

Spero anche di aver dato un'ispirazione a chi come me non può o non vuole mangiare certe cose. 
Io sono sempre qui, anche per dubbi e consigli, o per saper cosa ne pensate di questi miei nuovi senza.



sabato 16 maggio 2020

Yogurt di cocco (d'emergenza) // A volte ritorno

Oh, ehi.
Come state?
...questo post è difficilissimo da scrivere.

C'è ancora qualcuno che ha voglia di ascoltare?

Con tutto quello che ci ha travolto negli ultimi mesi è un po' un nuovo inizio, per tutti.
Anche per me e per questo blog, nel nostro piccolo.

Non ho molto da dire in merito a quello che è successo e a quanto stiamo ancora vivendo perché non penso che poche parole retoriche siano rispettose o necessarie. 

Quello che vorrei dire è che spero con tutto il cuore che stiate bene e che il nostro paese possa presto guardare avanti con un po' di speranza e fiducia nel futuro.

Ho deciso di rimettere mano al blog perché durante questo isolamento forzato, come hanno fatto in molti, ho finalmente ricominciato a sperimentare in cucina, nonostante il mio modo di mangiare sia cambiato (o forse proprio per questo) e siano cambiate anche tante (aiutatemi a dire TANTE) altre cose.

Mi ci è voluto un po', ma adesso sono qui.


Ho diverse idee che avrei voglia di proporvi, così come sono tante le informazioni che ho raccolto strada facendo e che mi piacerebbe condividere con voi, ma per ricominciare e rompere il ghiaccio ho pensato che questa ricetta, semplice, versatile e che mi ha in un certo senso salvata, fosse la più indicata.

Inoltre mi ha dato enormi soddisfazioni e quindi sono molto felice di potervela regalare.

Se qualcuno che mi legge qui mi segue anche su Instagram, probabilmente sa già di cosa sto parlando (ma non ve ne andate perché questa è la versione 2.0): yogurt di cocco.
Ebbene sì, si può fare lo yogurt con il cocco. O meglio, con il latte di cocco.

La mia versione utilizza latte di cocco in brick (sì, quello per cucinare), cosa sconsigliatissima ovunque se guardate su internet, ma che a me personalmente ha dato risultati strepitosi.

E' stata una di quelle cose che ti vengono in mente in situazioni “disperate” e decidi di fare comunque un tentativo. Non potendo reperire lo yogurt di cocco che consumo abitualmente, ho deciso di provare a farlo con ciò che avevo in casa: latte di cocco in brick, appunto.
...sì, quello con la confezione rossa che trovate al super nel reparto etnico.

Nella prima versione utilizzavo anche della panna di cocco (sempre in brick, stessa marca), ma non sempre la si trova facilmente, quindi l'ultima versione messa a punto, che ormai preparo ogni 15 giorni e che vado a proporvi, prevede solo latte.


Ma andiamo al sodo.

Per due bei vasetti:
  • 600ml di latte di cocco in brick Suzi Wan (o se la trovate 200ml di panna di cocco + 400ml di latte di cocco)
  • circa 15gr/1 cucchiaio di amido di tapioca (o frumina o maizena o fecola di patate)
  • 1 bustina di Yovis (o altri fermenti lattici che non contengano prebiotici o altri filler e principi attivi)
Vi occorreranno:
  • 1 pentolino
  • 1 frusta
  • 2 vasetti da 250ml circa
  • 2 pezzuole di garza o cotone puliti
  • 2 elastici
  • (facoltativo: 1 colino, della mussolina, una ciotola alta)

Il procedimento è molto semplice:

Versate 1 brick (200ml) di latte di cocco nel pentolino con l'amido che avete scelto.
Fatelo dissolvere mescolando e accendete il fuoco. Portate a bollore continuando a mescolare, finché non si creerà un composto colloso simile alla besciamella. 

[Questo passaggio è molto importante: nella prima versione che ho tentato di riprodurre, usavo l'amido “a crudo”, cioè senza farlo prima gelificare, cosa che oltre a renderlo inutile (non addensa un piffero) è potenzialmente dannoso per il nostro sistema digestivo, perché l'amido non cotto (non gelificato) è spesso indigesto.]

A questo punto toglietelo dal fuoco e, continuando a mescolare, unite gradualmente il resto del latte, meno un paio di cucchiai che terrete da parte per sciogliervi i fermenti che avete scelto di utilizzare.

Ora il composto dovrebbe aver raggiunto la temperatura ideale per essere inoculato (wink-wink nudge-nudge) con i fermenti, ma per esserne certi potete testare la temperatura con un termometro, oppure con uno strumento tecnologicamente più avanzato: il ditino.
Come già detto altrove, se è troppo caldo per voi, lo è anche per i fermenti (se fate abitualmente il pane o altri lievitati sapete già cosa intendo).

Se la temperatura vi convince, aggiungete i fermenti sciolti nel latte tenuto da parte e mescolate con la frusta per incorporarli bene. 


Versate nei barattoli di vetro puliti (meglio se sterilizzati o ancora tiepidi di lavastoviglie) e coprite con le pezzuole di garza o cotone che assicurerete ai barattoli con gli elastici.

Se il vostro forno dispone della funzione “lievitazione” accendetelo finché non raggiungere la temperatura (circa 40°) e poi spegnetelo; in alternativa potrete lasciare la lucetta del forno accesa, oppure utilizzarlo tiepido dopo un'altra preparazione. 'Infornate' i barattoli e lasciateli fermentare almeno fino alla mattina seguente (12 ore).

E qui possiamo aprire un dibattito che non si risolverebbe mai, dato che i gusti son gusti, ma vi dico che personalmente gradisco il mio yogurt piuttosto acido e protraggo la fermentazione fino a 2 giorni (48 ore totali) ma se gradite un gusto più dolce, 12-24 ore sono più che sufficienti.
In ogni caso, assaggiate e decidete voi.

Quando il vostro yogurt avrà raggiunto il grado di acidità che preferite, mette il coperchio ai vasetti e trasferite in frigo per qualche ora prima di consumarlo.

E sarebbe anche finita qui.
Ma sapete come sono fatta.
Non del tutto contenta della consistenza, ho provato a colarlo, come si fa per ottenere lo yogurt greco e... oh boy oh boy.

Adesso ragioniamo, mi son detta.
(In realtà mi son detta: “Porca pupazza non mi aspettavo venisse così bene, devo metterlo sul blog!” ma che rimanga tra noi.)



Se volete provare l'ebrezza, e io ve lo consiglio, fate così:

mettete un colino su una ciotola (devono essere fatti l'uno per l'altra e stare comodamente del vostro frigo: fate le prove prima...) e foderatelo di mussolina o garza pulita.
Versateci lo yogurt di cocco ormai freddato e coprite sommariamente con della pellicola (serve solo a non collezionare gli odori del frigo, non è necessario farla aderire).

Lasciatelo colate per una notte...e poi stupitevi del risultato!
O ancora meglio, pulite qualche fragola e preparatevi una sontuosa colazione.

La consistenza che otterrete è veramente libidinosa, cremosa e compatta, tanto da sembrare realmente uno yogurt greco, così come il sapore (il cocco è impercettibile) niente di paragonabile a qualunque altro derivato vegetale.

Se decidete di colarlo, oltre alla parte super cremosa e densa, vi ritroverete con una parte di liquido semi trasparente che sarete tentati di buttare, ma vi chiedo di desistere: potete usarlo nei prodotti da forno, nei frullati, per realizzare delle gelatine probiotiche (ci arriverò)...e tanto altro ancora che cercherò di condividere presto e che spero avrete ancora voglia di leggere.

Quindi se questo nuovo post un po' diverso, ma non troppo, vi è piaciuto, tornate da queste parti ogni tanto.
Io vi aspetto.


domenica 30 dicembre 2018

Pane di semi // Si sta come d'autunno gli ormoni alla mia pelle

Che titolo del menga.
Sì lo so che lo state pensando.
Ma provateci voi a sdrammatizzare quando vi ritrovate con l'acne alla veneranda età di 33 anni.

Chi mi segue su instagram o facebook, sa che ho iniziato un corso per diventare pasticcera professionista (prometto di postare qualche ricetta più cicciosa prima possibile!) e insieme all'eccitazione per gli orizzonti che questa nuova attività mi spalanca davanti, si è rifatta viva anche la mia amata amica che comincia con la A.

Combatto con questo problema da quando ne ho 24 e vi assicuro che le ho provate tutte: integratori, pillola, antibiotici, isotretinoina, creme di tutti i generi, alimentazione...ma inevitabilmente, puntualmente ed inesorabilmente, questo disturbo torna sempre a farsi vivo.

Per mia somma letizia, come potete ben immaginare.

Da tempo, grazie a lei, ho rinunciato a latte e derivati, dato che ho notato un aggravarsi del problema quando mangio queste delizie (sigh!), oltre che di farine e zuccheri raffinati.

Interessante per un'aspirante pasticcera come la sottoscritta...

Scherzi a parte, in realtà sono ormai abitudini che ho preso e che, pelle a parte, mi fanno stare meglio anche a livello fisico.
Quindi non le abbandono, anche quando la mia pelle si comporta bene.


...che non è proprio quello che sta combinando adesso.
Ma probabilmente perché ho smesso da poco di prendere la pillola -effetti collaterali a lungo termine, anyone?- , o almeno è quello che cerco di ripetermi mentre prenoto l'ennesima visita dalla dermatologa.

Il che ci porta -finalmente- alla ricetta che volevo proporvi.

Con l'intenzione di smetterla di farmi di ormoni sintetici, ho iniziato a fare un po' di ricerchine e mi sono imbattuta in questo post.
Se non vi va di leggerlo tutto, compresi i vari link contenuti, temo di dover spendere due parole per provare a spiegarvi cos'è il "seed cycling" (che non so bene come tradurre in italiano) di cui si parla, e mi piacerebbe tanto farlo senza sembrare un'invasata, anche se ho la brutta sensazione che sarà un'ardua impresa...

In ogni caso: è una pratica che si riferisce al consumo, durante le diverse fasi del ciclo, di determinati semi che, grazie ai grassi 'buoni' e le sostanze nutritive che contengono, dovrebbero andare a supportare il sistema riproduttivo femminile, aiutando il corpo a riportare in equilibrio l'assetto ormonale.

semi di lino e di zucca per la fase follicolare (1°-14°giorno), semi di sesamo e di girasole per la fase luteale (15°-28°giorno)

Ho trovato la cosa estremamente interessante e, se la cosa interessa anche a voi (mi dispiace per i maschietti (???) che mi leggono), vi consiglio di provare e vedere se la cosa per voi funziona, sempre ammesso che ne abbiate bisogno.

Come tutti questi rimedi naturali, anche questo ha bisogno di tempo per fare effetto, e il mio consiglio è di provare per almeno 3 mesi: OVVIAMENTE non vi sto dicendo di buttare dalla finestra le vostre cure ormonali (se le state facendo), o non ascoltare il consiglio del vostro medico, ma solo di provare a sostenere il vostro sistema endocrino anche in maniera naturale.

E ve lo dico perché, nonostante tutto, sono per l'ennesima volta sotto antibiotico. 
Quindi, si vedrà nel tempo. Spero. Intanto, male non mi fa.

Siete ancora con me? Spero di sì.

Qualche settimana dopo aver letto di questa pratica, ho sfiorato con la coda dell'occhio quest'altra ricetta, e ho realizzato come potevo sfruttare le informazioni che avevo a mia disposizione nella maniera più comoda per la sottoscritta e, spero, anche per voi.


Se può farvi comodo l'ho acquistato qui.

Prima di arrivare alla ricetta (dio che fastidio che sono, vero?) vi vorrei presentare un altro componente del gruppo che andremo ad assemblare: la polvere di psillio.

Andatevi pure a leggere le varie proprietà di questo seme se vi va, ma vi anticipo che è una fibra (un prebiotico) vegetale che assorbe i liquidi, diventando gelatinosa.
Oltre a farvi fare tanta cacca (questo post mi sta totalmente sfuggendo di mano), la sua particolare consistenza ci aiuterà a legare tutti i semi e i cereali che andremo ad utilizzare.

Una farina che non è una farina, insomma.

Infatti, oltre a fornirci le preziose proprietà dei semi di cui vi ho parlato, questo "pane" è fantastico se cercate di limitare il consumo di carboidrati e più in generale mantenere la glicemia sotto controllo.

Ma ok, vengo alla ricetta finalmente:

  • 130gr di semi di zucca (o girasole)
  • 65gr di semi di lino macinati, meglio se al momento (o di sesamo)
  • 65gr di nocciole intere (o mandorle, o altra frutta secca a piacere)
  • 150gr di fiocchi d'avena grandi (100 in fiocchi e 50 di porridge se non usate i semi di lino)
  • 2 cucchiai (circa 30 gr) di semi di chia
  • 3 cucchiai di polvere di psillio (4 se usate la cuticola intera)
  • 1 cucchiaino scarso di sale
  • 1 cucchiaio abbondante di miele (o malto d'orzo)
  • 3 cucchiai di olio di cocco (o semi o e.v.o. delicato)
  • 300ml di acqua



Pesate tutta la semenza in una ciotola, con il sale e la polvere di psillio, dosate tutti i liquidi, compreso l'olio, in una brocca e quando avete fatto, unite il tutto.
Mescolate velocemente per amalgamare bene e non distraetevi: la polvere di psillio si reidrata piuttosto in fretta e se non mescolate bene subito vi si creerà una malloppa disomogenea che farete fatica a gestire.
True story folks.

Ungete uno stampo da plumcake con poco olio e trasferiteci lo gnocco di semi che si sarà materializzato nella vostra ciotola.
Compattatelo bene e lisciatelo con una spatola: non avendo nessun tipo di agente lievitante, il vostro mattoncino resterà si e no identico a come lo vedete ora, quindi decidete che forma volete che avrà una volta cotto.
Io non giudico. 

Copritelo con la pellicola e lasciatelo riposare almeno 2 ore. L'ideale sarebbe una notte e avendo provato entrambe le tempistiche, vi confermo che una notte sarebbe meglio: semi e cereali si reidratano a fondo (e così diventano anche più digeribili) cosa che migliora la consistenza finale del pane.

Una volta che sarà reidratato a dovere, infornate il pane a 200° per una mezz'ora, dopo di che vi consiglio di sformarlo (con cautela) e cuocerlo un'altra mezz'ora abbondante senza stampo e a sedere per aria in modo che si asciughi bene anche sul fondo, se vi sembra che si sia scurendo troppo, abbassate la temperatura a 180-175°.


Sfornate e lasciate raffreddare completamente prima di tagliarlo.
Questo pane è piuttosto umido e si conserva per una decina di giorni al massimo se lo ritirate in un sacchetto di carta per alimenti, ma vi consiglio di farlo a fette e tostarlo in forno già dopo una settimana, e vi dirò: trovo che tostandolo diventi ancora più sfizioso, grazie a tutti i semi che contiene.

Non aspettatevi la consistenza di una pane lievitato, soffice e croccante allo stesso tempo, però. Se posso fare un paragone assomiglia molto al pane di segale norvegese: umido, quasi appiccicoso, denso e dolciastro ma con il plus dei semi e della frutta secca, che per un scoiattolo come me, sono sempre una gradita aggiunta.


Se siete un po' chipmunk anche voi, non farete fatica a far diventare questo pane il nuovo supporto per infinite cicciosette variabili.
Inizialmente lo utilizzavo quasi esclusivamente per la colazione, con burro di mandorle, miele, marmellata o frutta fresca...o con una crema spalmabile al cioccolato...

Poi ho deciso di provarlo anche con il salato, e devo dire che con certi abbinamenti non si rimpiange il normale pane bianco, anzi: con del salmone marinato (o affumicato) per esempio, oppure con dello speck o della bresaola è la morte sua. Vi direi anche con del caprino all'erba cipollina, ma anche solo nominarlo ormai mi commuove. 
...troppo tardi.




sabato 7 luglio 2018

Ciambelline ripiene di crema al cioccolato // La coerenza di una contraddizione




Questo post è un po' un Frankestein (si lo so che non è il nome del mostro ma quello del Dottore...in ogni caso ci siamo capiti!), perché ho voluto farci stare tre preparazioni a cui stavo pensando da tempo e che avevo voglia di proporvi.

Purtroppo devo ammettere che, sebbene l'accostamento basilico-cioccolato mi piaccia molto, all'assaggio mi sono resa conto che la Nocciolata (seppur meno dolce della Nutella), risulta un po' stucchevole in relazione alle finiture al basilico -entrambe piuttosto zuccherose- che avevo pensato per queste ciambelline.

Ma vi darò diversi consigli su come correggere il tiro: potrete così imparare dai miei errori, senza l'onere delle conseguenze ma solo con l'onore dei benefici.

Prego, non c'è di che... ;D

Per 12 ciambelline:
  • 100gr di farina 00
  • 50gr di pistacchi ridotti in polvere
  • 1 cucchiaino di lievito
  • 50gr di zucchero di canna fine (ma potete scendere fino a 30gr)
  • 1/4 di cucchiaino di sale
  • 30gr di olio di cocco (o margarina non idrogenata)
  • 60ml di latte vegetale
  • 60gr di yogurt di cocco (o soia)
  • 1 uovo
  • 1 cucchiaino di estratto di vaniglia

Per il ripieno al cioccolato:
  • 250gr di Nocciolata senza latte Rigoni (circa un vasetto) 

(Ho utilizzato prodotti di origine vegetale perché ho voluto mantenere la ricetta senza lattosio, data la mia intolleranza: ma sentitevi liberi di usare latte, burro e yogurt di latte vaccino se per voi non fa differenza. Il prodotto finito non potrà che giovarne!)


La prima cosa da fare per queste ciambelline ripiene è, appunto, preparare il ripieno.
In realtà si tratta solo di versare il contenuto del vasetto di Nocciolata in un sac à poche con bocchetta liscia, e realizzare degli anellini che andranno poi fatti congelare.

La parte più macchinosa consiste nel prendere le misure della teglia e realizzare un template da usare come guida. Ho la fortuna di avere un coppa-pasta della dimensione perfetta che ho usato facilmente per disegnare dei cerchi su della carta forno. Ma sono sicura che anche voi avrete in casa qualcosa che potete utilizzare allo stesso modo. 
In alternativa il caro vecchio compasso delle medie farà il suo lavoro.

Vi consiglio di fare questa operazione su una teglia piatta e che sta comodamente nel vostro freezer.
Foderatela di pellicola: in questo modo, una volta congelati, i cerchietti di Nocciolata, saranno più semplici da staccare. 

Trasferite in freezer per almeno un paio d'ore o comunque finché non saranno solidi al tatto: non diventeranno mai completamente ghiacciati, per via dello zucchero e degli oli presenti nella crema, ma vi accorgerete quando saranno pronti.

Una volta congelati, staccateli dalla pellicola e trasferiteli su un vassoio che rimetterete in freezer mentre preparate l'impasto per le ciambelline.


Setacciate le farine con il lievito e il sale, aggiungete l'olio di cocco (o la margarina o il burro a tocchetti) e sabbiate la farina. 
Se disponete di un impastatore, utilizzate lo strumento a "foglia" per quest'operazione.
In alternativa è possibile farlo a mano, sfregando la farina tra le dita finché l'olio non viene assorbito completamente. 

In una caraffa, sbattete l'uovo con lo yogurt, il latte e l'estratto di vaniglia.
Aggiungete lo zucchero alla farina sabbiata, mescolate bene e aggiungete gli ingredienti liquidi.
Fate incorporare bene, in modo da creare un impasto uniforme.

Trasferite in un sac à poche e distribuite metà dell'impasto nello stampo per ciambelle, recuperate dal freezer i cerchietti di Nocciolata e distribuiteli nello stampo, facendoli affondare leggermente nell'impasto, con la parte piatta rivolta verso l'alto.
Terminate di riempire lo stampo con in restante impasto, in modo da coprire i cerchietti di crema gianduia.

Battete leggermente lo stampo sul piano di lavoro prima di infornarlo: in questo modo l'impasto di distribuirà in modo uniforme.
Cuocete a 180° per circa 12 minuti.



Una volta tolte dal forno lasciate raffreddare brevemente le ciambelline prima di sformarle.
Maneggiatele con cautela perché il ripieno, più liquido che solido dopo la cottura, le rende particolarmente fragili in questa fase.
Lasciatele raffreddare completamente su una gratella (e se potete anche un'oretta in frigo) prima di procedere alle eventuali fasi successive.

"Eventuali" perché, come ho detto all'inizio di questo post, il ripieno di gianduia rende in realtà superflua qualsiasi glassatura o altra aggiunta.
A dirla tutta quindi, potreste anche evitare la polvere di pistacchi nell'impasto e limitarvi ad utilizzare 150gr di farina 00, realizzando così una base alla vaniglia semplicissima che valorizzerà il ripieno.

Non ometterei i pistacchi, invece, se voleste provare a realizzare delle semplici ciambelline, senza ripieno, glassate al basilico: ma solo perché trovo grazioso il richiamo cromatico...e inoltre adoro i pistacchi.

Con la glassa al basilico che vi propongo subito sotto, trovo che starebbe benissimo anche una semplice base al cacao: la ricetta è la stessa che vi ho fornito, vi basterà sostituire 20gr, dei 150 totali di farina 00, con del cacao amaro.
Il contrasto tra la nota amara e avvolgente del cacao bilancia alla perfezione quella aromatica e fresca della glassa al basilico. 


Ma veniamo alla glassa:
  • 125gr di zucchero a velo
  • un cucchiaino di zucchero semolato
  • il succo di mezzo limone
  • una manciata di foglie di basilico*
  • un cucchiano di miele di acacia (facoltativo, ma lascia la glassa lucida una volta rappresa)
  • qualche fiore di basilico per decorare
(*io ho utilizzato una varietà che si chiama "cannella", molto aromatico e simile alla menta, ma più delicato e complesso come aroma. Non vi preoccupate: un buon basilico tradizionale andrà più che bene.)

In un mortaio (o, se preferite, in un frullatore anche se il basilico tenderà ad ossidarsi), pestate il basilico con lo zucchero semolato fino a ridurlo in poltiglia.
Aggiungete il succo di limone e mescolate brevemente.

Versate lo zucchero a velo in una ciotola con il miele (se l'avete usato) e aggiungete il succo di limone ormai verde un cucchiaino alla volta, filtrandolo attraverso un colino.

Dovrete ottenere una glassa piuttosto densa e corposa, in modo che si solidifichi in fretta e non coli troppo dalle ciambelline (quindi non è detto che il succo di limone vi serva tutto: aggiungetelo poco alla volta!).

Raggiunta la consistenza desiderata, pucciatevi le ciambelline dal lato che desiderate e, prima che la glassa asciughi, decorate con qualche fiorellino di basilico.
Lasciate rapprendere prima di servire.


Se le glasse non fanno per voi, vi consiglio di optare per uno zucchero aromatizzato: frullate 200gr di zucchero semolato con una manciata abbondante di foglie di basilico e la scorza di un limone.
Una volta che lo zucchero avrà assunto l'aspetto di sabbia bagnata verde acido, aggiungete 100gr di zucchero a velo (o più se necessario) e frullate, in modo che il composto finale risulti asciutto e ben slegato.

Trasferite questo zucchero aromatizzato in un sacchetto per alimenti e, quattro alla volta, buttateci dentro le ciambelline. Agitate il sacchetto in modo che si ricoprano di zucchero in maniera uniforme.
Se non intendete servirle o mangiarle tutte in una sola soluzione (in caso contrario avreste tutta la mia stima), zuccheratele di volta in volta, perché questa finitura tende a sciogliersi e rapprendersi in malamente se non consumata in breve tempo.

Questo zucchero vi avanzerà senz'altro, ma io non mi lamenterei: potreste usarlo per un mojito al basilico, per decorare i bicchieri di un cocktail (un basilico-sour magari?) o, perché no, dei biscotti o altre ciambelline con quest'erba come protagonista.

E questo è quanto.
Come al solito ho scritto troppo e come spesso mi capita temo che le mie troppe divagazioni e cambi di rotta vi abbiano fatto perdere il filo.
Ma spero sempre che qualcuno riesca a trovarne il capo e capire il succo di quello che volevo dire. 
Che in questo caso, nonostante il cioccolato, profuma innegabilmente di basilico.




venerdì 25 maggio 2018

Composta di fragole alla chia // Salvando fragole



Sappiate che mi sto trattenendo con le ricette a base di fragole, perché essendo stagione rasento la mania compulsiva: ne compro più di quanto ne riesca effettivamente a mangiare e anche se ne ho  comprato un cestino -magari il giorno prima- e le vedo belle, rosse e profumate, non resisto e ne compro altre.

Con l'ovvio problema che, inevitabilmente, le più mature iniziano a deperire tristemente nel mio frigo.
Sono sicura che sapete cosa intendo: cominciano a perdere di freschezza, togliendoci un po' la voglia di mangiarle nude e crude.

Ovviamente non dovete aspettare che le vostre fragole abbiano il musino triste per realizzare questa ricetta, ma di solito è così che capita nella mia cucina...semplicemente perché quando sono pingui e succose finiscono direttamente tra le mie fauci.


E poi ormai lo sapete che la mia e spesso una cucina del recupero, anche se mi piace sempre sperimentare e tentare cose nuove: ecco il perché della chia.

Lo spunto per utilizzare questo curioso semino, lo devo ad un'amica in dolce attesa che mi ha confessato di avere qualche problemino di motilità intestinale (probabilmente mi ucciderà quando leggerà queste parole! XD).

Le ho consigliato subito la chia, perché su di me ha esercitato un effetto prorompente (e vi assicuro che non ne ho alcun bisogno!), quindi ho immaginato che a lei potesse dare il giusto risultato.

Ma, diciamolo, se mai l'avete provata in un chia pudding tanto in voga, l'effetto non è dei più entusiasmanti: i semini reidratati paiono un po' uova di rana.
E anche lei lamentava una certa diffidenza in tal senso.

Così ho pensato di utilizzarla -in minor quantità- per questa composta di frutta: la consistenza morbida delle fragole e i sui semini, mascherano la presenza della chia, che però esercita il suo potere addensante regalandoci oltretutto le sue proprietà.
  
Chissà se la mia amica apprezzerà...!?


Per un vasetto di composta:
  • 250-300gr di fragole
  • 2-3 cucchiai abbondanti di miele millefiori o arancia
  • 2-3 cucchiaini di semi di chia (facoltativo)
  • 1/2 stecca di vaniglia (anche recuperata da altre preparazioni oppure un cucchiaino di estratto
  • qualche goccia di succo di limone

La preparazione è veramente semplicissima: tagliate le fragole a tocchetti e irroratele con qualche goccia di succo di limone.

Nel frattempo fate caramellare il miele in una padella, insieme alla vaniglia.
Deve fare delle grandi bolle e iniziare a scurirsi leggermente, assumendo una sfumatura ramata.

Buttateci le fragole -facendo attenzione a non scottarvi con il miele bollente- e lasciate cuocere qualche minuto.
Io dopo 5-8 minuti massimo, spengo: in questo modo le fragole conservano la loro forma e restano piacevoli da mangiare, ma se le preferite più cotte e "cremose", proseguite la cottura fino ad ottenere la consistenza che desiderate.

A fine cottura, se lo desiderate, aggiungete la chia: questo semino (la cui pianta appartiene alla famiglia della salvia e della menta) ha millemila proprietà nutritive ma, come già accennato, la cosa interessante dell'aggiungerlo ad una composta con poco dolcificante e senza aggiunta di pectina, è che reidratandosi nei succhi rilasciati dalla frutta, la addensa, creando un ulteriore gioco di consistenze che in questo contesto trovo davvero interessante.

Se se la chia non è proprio nelle vostre corde, non volete acquistarla, o per qualsiasi altra ragione non vogliate arrischiarvi ad usare questo semino, potete addensare la composta sciogliendo un cucchiaino di amido di mais in due cucchiaini di acqua e versarlo nella padella ad un paio di minuti dal termine.


Comunque decidiate di preparare questa composta, provatela: salverete delle fragole dall'oblio e avrete tra le mani qualcosa di delizioso che vi terrà compagnia a colazione, a merenda o per uno spuntino qualsiasi.

Io la utilizzo tanto a colazione, così posso evitare di trafficare con il coltello di prima mattina, soprattutto quando ho fretta: yogurt, granola e un cucchiaio scarso di questa meraviglia e la colazione è servita.

Ma chi sono io per impedirvi di usarla come vi pare...?

(Una che ha un blog e non può fare a meno di darvi un consiglio: nel prossimo post vi darò un'idea carina! #restateconnessi!)



venerdì 18 maggio 2018

Kimchi 김치 // Quel che fermenta fa girare il mondo


Pane, formaggio, vino, caffè, cioccolato...
Probabilmente se ci pensiamo bene ci verranno in mente tanti altri alimenti che sono quel che sono grazie alla magia della fermentazione.

E più ci penso, più credo che non ci sia nulla di più semplice: è un processo che avviene naturalmente e, non a caso, è stata una delle prime modificazioni del cibo che l'uomo ha scoperto, sicuramente ancor prima della cottura.
Abbiamo imparato, senz'altro non senza intoppi, che un prodotto fermentato, non solo era più digeribile, ma anche più nutriente e gustoso.

Non ho quindi paura ad affermare che la fermentazione sia stata la scintilla che ha dato vita all'arte della cucina.

Volevo fare questa premessa perché so perfettamente quanto può sembrare folle e inquietante l'idea di mettersi a far fermentare le cose nella propria cucina.

Ma se siete in grado di fare lievitare un impasto, sono sicura che riuscirete a fare anche questo.

E con questo intendo il mio amato, adorato, venerato kimchi coreano.
Ne ho parlato spesso, soprattutto su instagram, e probabilmente molti di voi sanno già cos'è.
Per chi non ne avesse idea, semplifico dicendo che è una sorta di crauto, ma piccante.



Come per altre ricette proposte, vi assicuro che non richiede alcuna abilità tecnica particolare, l'unica discriminante è che ci vuole tempo: ma, per favore, non commettiamo l'errore di confondere lo spendere del tempo in cucina con il livello di difficoltà di una ricetta e impariamo a riappropriarci del cibo che mangiamo dedicandogli l'attenzione che merita.

In ogni caso sappiate che il tempo speso nella preparazione sarà ripagato con interi mesi in cui potrete godere dei frutti del vostro lavoro.
Ma veniamo alla preparazione, che non è poi nemmeno una vera ricetta:

Per un vaso da circa 2 litri:
  • 1 grosso cavolo cinese (o due piccoli)
  • 185gr circa di sale (meglio se salgemma o non iodato*1)
Per il "porridge" di riso:
  • 1 1/2 tazza di acqua
  • 4-5 funghi secchi (shitake o meglio ancora porcini)
  • un pezzo piuttosto grande di alga kombu
  • 2 cucchiai di farina di riso glutinoso (quella per fare i mochi*2)
Per la pasta di kimchi:
  • 4 spicchi di aglio
  • 1/2 mela
  • 1 pezzetto di zenzero (3-4 cm)
  • 3-4 acciughe sotto sale*3 (facoltative, e no, non vanno bene quelle sottolio!)
  • 1 cipolla bianca piccola
  • 60ml di tazza di salsa di pesce (o di soia)
  • 180gr circa di gochugaru (peperoncino coreano in fiocchi*4)
Aggiunte:
  • 4 cipollotti (con il verde bello)
  • 4 carote medie
  • 1/3 di radice di daikon (se grande, altrimenti metà)
  • 2 cucchiai di sesamo tostato

gochugaru home made

(*1- il salgemma è stato un po' messo da parte negli ultimi anni, dato che non contiene iodio, ma in questa preparazione andrebbe benissimo, dato che questo elemento, essendo un noto antisettico, potrebbe interferire con il processo fermentativo. Ma se non vi va di comprarlo apposta non fatevene un cruccio e utilizzate quel che avete.

(*2- è una farina di riso detto glutinoso per la sua consistenza appiccicosa e tenace -ma che non contiene glutine!-, è leggermente dolce ed è usata tradizionalmente per fare il kimchi, ma presumo che anche una farina di frumento o dell'amido possano portare a termine la missione.)

(*3- la ricetta tradizionale prevede l'uso di gamberetti fermentati. Nei negozi orientali ben forniti non è difficile trovarli, ma su uno dei libri che ho consultato prima di imbarcarmi nella preparzione -scritto basandosi sulle direttive di una famiglia coreana che produce kimchi da generazioni- consigliano di utilizzare anche delle acciughe salate. Ed ecco che Cetara incontra Seoul.)

(*4- è un tipo di peperoncino in fiocchi non troppo piccante, completamente privo di semi, e di colore molto vivo. Potete acquistarlo on line -ma spesso viene prodotto in cina e ho letto cose allarmanti su questo tipo di prodotti importati- oppure affidarvi ad un peperoncino in polvere classico -magari comprato dal vostro spacciatore calabro di fiducia- riducendone le dosi.)




1."Strappate" invece che tagliare completamente il cavolo cinese, in modo che si divida in modo naturale: così assorbirà meglio il condimento in seguito.





Non è strettamente necessario fare in questo modo, ma trovo ci sia certa bellezza nelle foglie non tagliate nettamente. E come tutti gli estetismi orientali, riconduce ad una funzionalità finale che non va sottovalutata.

Ma utilizzate il metodo che vi fa sentire più tranquilli e che vi riesce meglio.





2.Con il metodo illustrato in precedenza, dividete ogni metà a metà. Ogni quarto andrà privato della radichetta e tagliato in quattro.

Il metodo tradizionale vorrebbe che il cavolo venisse tagliato in quattro lasciando integri i quarti e che il condimento venga "spalmato" tra una foglia e l'altra.

I quarti vengono tagliati a pezzetti, adatti ad essere presi con le bacchette, solo al momento del servizio.

Parliamo però anche di altre quantità e di un'altro tipo di consumo -quotidiano-.
Essendo per voi la prima volta -la seconda per me- vi consiglio di tagliarlo come vi ho illustrato: in questo modo tutti i passaggi successivi saranno più agevoli per un primo tentativo.

3.Disponete il cavolo tagliato e lavato in una ciotola capiente e dividetelo in strati, salando in modo uniforme tra uno strato e l'altro. Lasciate riposare per 2-3 ore.


Non è necessario esser maniacali: l'importante è che il sale abbia modo di entrare in contatto con il cavolo. Ma anche se ne mancate qualche pezzetto, prima o dopo, con il crearsi della salamoia prodotta dai succhi dell'ortaggio, arriverà dappertutto. Se ne avete l'opportunità, a circa metà del tempo di riposo, rimescolate con le mani, in modo da portare i pezzetti di cavolo che stanno sul fondo in alto e viceversa.


4.Il cavolo è pronto per essere sciacquato e passare alla lavorazione successiva quando la parte croccante della costa diventa flessibile e riuscite a piegarne un pezzetto senza che si spezzi.

In questo modo sarete sicuri che il cavolo ha ceduto buona parte dei suoi succhi e che è salato a dovere. Se dovesse dimostrare resistenza, prolungate i tempi di salatura.

5. Trasferite il cavolo lavato in uno scolapasta capiente e lasciate scolare per almeno un'ora.

Mentre il cavolo finisce di scolare, preparate il porridge di riso: 
Mettete l'acqua in un pentolino con l'alga kombu e i funghi secchi.
Non appena bolle eliminate la kombu, abbassate la fiamma e fate sobbollire altri 10 minuti.
Filtrate il brodo ottenuto e lasciatelo raffreddare completamente.
(Potete tenere da parte l'alga e funghi e utilizzarli in altre preparazioni)

Una volta freddo rimettetelo nel pentolino con la farina di riso e portate nuovamente a bollore. 
Mescolate con una frusta e lasciate cuocere il composto per 7-8 minuti: dovreste ottenere una sorta di pastella densa -tipo besciamella-. Fate raffreddare completamente.

Una volta freddo, preparate gli altri ingredienti per la pasta di kimchi.
Mettete tutto in un frullatore, compreso il porridge, e frullate fino ad ottenere un composto omogeneo, rosso-aranciato.

Mondate accuratamente le verdure e tagliatele a fiammifero: se avete una mandolina con la lama adatta , vi consiglio di utilizzarla perché vi risparmiereste almeno 45 minuti di preparazione.


6.Una volta pronta la pasta di kimchi e le verdure, unite tutto in una ciotola capiente con il cavolo scolato.
Munitevi di guanti e mescolate accuratamente per distribuire la pasta su tutte le verdure.


So che molti detestano l'idea di maneggiare il cibo con le mani, ma vi assicuro che non c'è strumento migliore per questo lavoro -come per altri in cucina e nella vita.-
Non dimenticate, per nessun motivo, di munirvi di guanti se non volete ritrovarvi con le mani rossicce e brucianti per qualche giorno.

Trovate un vaso di vetro con la chiusura a cerniera da sacrificare -non potrete più usarlo per altre cose, forse solo per la sriracha- , lavatelo accuratamente con detersivo per i piatti e una spugna nuova. Sciacquatelo bene con acqua calda e asciugatelo accuratamente con un telo pulito. 

Trasferiteci il vostro kimchi, pressando bene tra un'aggiunta e l'altra.

Non avanzate nulla, se rimane del condimento sul fondo e i lati della ciotola, raccoglietelo e travasatelo fino all'ultima goccia nel vaso.

Con della carta casa pulite la bocca e il primo tratto del vaso, lasciato vuoto, da eventuali residui.
Chiudete l'imboccatura con della garza -o altro tessuto pulito- fissandola con un elastico, e lasciate il vaso aperto: in questo modo faciliterete il processo di fermentazione senza che niente possa interferire.

Lasciate a temperatura ambiente per almeno 24 ore -anche se 48 o 72 sarebbe ancora meglio- o finché il vostro kimchi non inizia a fermentare.



7.Trasferite il composto in un vaso capiente pulito e coprite la bocca con della garza -o altro materiale traspirante- aiutandovi con un elastico. Lasciate fermentare almeno 24H a temperatura ambiente

A questo punto eliminate la garza, chiudete e trasferite in frigorifero. 

Vi consiglio vivamente di chiudere il vaso dentro due sacchetti di plastica per alimenti, altrimenti, man mano che il processo fermentativo progredisce, vi ritroverete il frigo appestato da un odore più che pungente.

Personalmente ho imparato ad amarlo, ma il resto della fauna presente nel mio frigo non sarebbe d'accordo.
Quindi, chiudetelo in due sacchetti!

Mi dispiace non aver fatto più foto per illustrarvi in modo più accurato la fase fermentativa, ma fino all'ultimo non ero sicura se proporvi o meno questo post, quindi alcune fasi si sono un po' perse (ecco il perché dei disegni!).

In ogni caso i segnali sono inconfondibili: si creerà del liquido che, se pressato leggermente con il dorso di un cucchiaio, produrrà delle bollicine, come se fosse frizzante.

E poi fidatevi dei vostri sensi: sapore e odore inizieranno ad essere piacevolmente acidi.

Come detto all'inizio di questo post, mi rendo conto che un progetto simile comporti un certo timore, ma vorrei rassicurarvi dicendovi che, dal punto di vista batterico, correte più rischi facendo una marmellata. 
Questo perché, sterilizzando, si uccidono tutti i batteri, anche quelli buoni.
(Avete presente cosa vi succede quando prendete l'antibiotico? Ecco...)


Il punto è che i batteri più nocivi per l'uomo, si sviluppano in ambienti sterili, proprio perché privi di una flora batterica in grado di contrastare i batteri "cattivi".
(Ciò non significa che da oggi non dovete più sterilizzare i vasetti quando fate la marmellata! Volevo solo fare un esempio che evidenziasse le differenze tra i due processi di conservazione!)

Con la fermentazione si crea un ambiente acido e ricco di batteri "buoni" autosufficienti, in grado di contrastare l'attacco di batteri potenzialmente patogeni.
Cosa molto utile per il nostro sistema gastrointestinale, che rafforzerà la sua flora batterica e conseguentemente le nostra difese immunitarie, quindi il nostro stato di salute generale.

In ogni caso, prima di imbarcarvi, vi consiglio di documentarvi un po', soprattutto se la cosa vi interessa ma non siete ancora convinti sul da farsi.

Vi lascio un paio di link, tra cui un video della mia cara Maangchi, dove potete ammirarla mentre smanazza in tutta scioltezza il suo kimchi: magari così vi passa la paura!

(Tutto è cominciato con questo libro sulla fermentazione, poi è arrivato questo più specifico, ma per ogni dubbio sulle varie fasi di lavorazione non esitate a contattarmi, in alternativa consultate questo sito  davvero molto valido. Buona fermentazione!)

Per quanto tempo si può conservare il kimchi?
Cito una vecchia signora coreana che a questa domanda rispose: "Il kimchi è buono finchè non è finito".



***

Vorrei chiudere questo lungo post spiegandovi cosa mi ha fatto decidere per la pubblicazione, nonostante sia perfettamente consapevole che molti dei pochissimi che mi leggono non si imbarcheranno mai nell'impresa: credo fermamente che si debba lottare in ciò che si crede, e io credo nel cibo come strumento di consapevolezza e liberazione.

Penso che il cibo sia un veicolo per le tradizioni e l'identità delle culture e che i prodotti, e i produttori che li producono, vadano tutelati e difesi, come si difende la propria storia.

Ma come possiamo farlo senza renderci conto di cosa abbiamo tra le mani?

Questa mia fissa di capire come sono fatte le cose mi ha portato spesso ad auto-produrre e questo mi ha dato l'opportunità di scoprire i veri sapori di alcuni cibi che normalmente ci vengono propinati già pronti e addizionati con questo e con quello, se non addirittura contraffatti.

Credo quindi che riappropriarci del vero sapore del cibo, preparandolo con materie prime di qualità, sia una piccola rivoluzione, un piccolo ma importante atto di resistenza contro quei poteri che ci vogliono schiavi di un modo di vivere che si sta del tutto snaturalizzando.

Riappropriarci del cibo che mangiamo, per me, è riprenderci il nostro corpo; un'autodeterminazione fondamentale e inalienabile. 

Purtroppo non sono una principessa guerriera e men che meno una combattente che veste alla marinara, ma nel mio piccolo, cerco di resistere come posso.

Spero sia venuta un po' voglia di farlo anche a voi.