venerdì 1 luglio 2016

Io sto alle Pardulas come le Madeleine stanno a Proust // Come recuperare una memoria, senza averla mai vissuta

Tra i pizzi e i centrini fatti a mano dalla mia nonna che mi sono portata a casa durante il suo trasloco, c'è quello che vedete nelle fotografie.
E' da qui che è partita l'ispirazione per questo post ed è alla mia nonna che lo dedico, perché le sono grata.

Prima di tutto per aver assegnato ad ogni oggetto regalato un piccolo frammento di vita narrato dalla sua voce e che porterò sempre con me.

E poi per la sua forza, la sua testardaggine e il suo spirito inossidabile che le hanno permesso, nonostante gli alti e bassi che ogni essere umano sperimenta nel corso della vita, di crescere cinque figli, lontano dalla sua famiglia e dalla sua Sardegna.

Ma cambio subito argomento perché alla mia nonna non piacciono le smancerie.


Così ho pensato di provare a preparare delle Pardulas, perché sono il mio dolce sardo preferito.

Con la loro forma e quel colore giallo acceso, ricordano dei piccoli soli, quasi come quelli che disegnano i bambini.

Allo stesso modo, le Pardulas, sono semplici anche se di antica concezione e per quanto mi riguarda sono l'essenzialità di quello che può essere un dolce.

La vera complessità di questi dolcetti, così come di molti piatti della tradizione, non sta tanto nella preparazione, quanto nella scelta degli ingredienti.
Quando sono così pochi e così semplici, non ti puoi nascondere, se scendi a compromessi con la qualità, scendi a compromessi con i sapori.

E questo, in realtà, vale per tutta la cucina, anche la più nouvelle: nulla può il più grande degli chef se la materia prima non è di qualità.


Per la pasta:
  • 250gr di farina 00
  • 100gr di burro sciolto (tradizionalmente si usava lo strutto...ma ho preferito evitare)
  • 125ml di acqua tiepida
  • un pizzico di sale
Per il ripieno:
  • 400gr di ricotta mista artigianale (mucca-pecora o meglio ancora solo di pecora se la trovate)
  • 2 uova (se le trovate, prendete quelle per fare la pasta all'uovo)
  • 80gr di farina 00
  • 100gr di zucchero semolato
  • 3 cucchiai di miele millefiori (o d'arancia o d'acacia, e cercate qualche produttore locale, la qualità  potrebbe sorprendervi!)
  • ½ bustina di zafferano (occhio alla provenienza...)
  • la scorza di un'arancia (rigorosamente bio)
  • un pizzico di sale

Nell'impastatore con il gancio a foglia, o in una ciotola con il mestolo, unite la farina, il pizzico di sale e l'acqua tiepida. Quando si sarà formato un impasto grossolano, iniziate ad aggiungere il burro fuso poco alla volta, in modo che venga gradualmente assorbito dall'impasto.

Una volta incorporato tutto il burro, trasferite la pasta sul piano di lavoro e lavoratela energicamente fino a renderla liscia e compatta, tra l'altro questo è uno degli impasti più setosi che abbia mai avuto il piacere di maneggiare e che varrebbe la pena di provare anche in altre preparazioni.

Fatelo riposare coperto per almeno 30 minuti.


Nel frattempo preparate il ripieno.

Passate a setaccio la ricotta, in modo da renderla più morbida ed evitare grumi (se la vostra ricotta è omogeneizzata come quella della Vallelata...desistete: una buona ricotta deve avere una certa consistenza.).
Aggiungete tutti i restanti ingredienti e mescolate bene con una frusta (ma non è necessario montare) fino a rendere il composto uniforme.

Lasciate da parte e riprendete la pasta.
Stendetela in una sfoglia sottile (circa 3mm) e con un coppa pasta tondo ricavate dei dischi.

Mettete mezzo cucchiaio circa di ripieno al centro di ogni disco e pizzicate la pasta in più punti verso l'interno in modo da creare un bordo.
Non riempitele troppo altrimenti in cottura potrebbero aprirsi, vanificando l'effetto decorativo e pratico del nostro bordino puntuto.

Cuocete a 180° per 25-30 minuti o finché sono belle arancio-dorate.

Una volta sfornate, potete lucidarle con un po' del miele usato nel ripieno, diluito con poca acqua.

Il miele che ho utilizzato, e qui lo so che andiamo veramente a spaccare il capello, me lo hanno portato i miei genitori da uno dei loro viaggi in Sardegna.
E' un millefiori (mebi de millafroris) locale.

Ogni millefiori ha un sapore strutturato e in questo c'è tutta l'aromaticità selvatica della macchia mediterranea sarda.

Non aggiungo altro.


Come Proust, mi sarebbe piaciuto raccontarvi un ricordo d'infanzia legato a questi dolcetti, magari della mia nonna che mi insegna a prepararle, ma non ho ricordi simili purtroppo.

Se devo essere onesta non sono neppure sicura di quando le ho assaggiate per la prima volta, ma ricordo perfettamente di essermi innamorata subito del loro sapore, così semplice eppure così complesso...un po' come la terra da cui provengono e, in parte, da cui provengo anch'io.

Forse è proprio questa la mia memoria proustiana: riallacciare un legame con la terra che mi porto nel sangue attraverso sapori che parlano più alle mie ossa che alla mia testa, come l'appartenenza carnale che c'è tra una madre e i suoi figli.

2 commenti:

  1. Your dessert looks wonderful and your doily reminds me of my mamma. I don't think we had a piece of furniture our house that was covered with a crocheted doily or an embroidered cloth. I love reading in Italian -- my written Italian is not what it should be so excuse the English. Buon fine settimana.

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    1. Cara Marisa, grazie per i tuoi commenti, mi fanno sempre un grande piacere!
      Anche io non ho centrini sui mobili, ma trovo che siano molto belli in fotografia e penso siano preziosi per il semplice fatto che li ha realizzati la mia nonna.
      Non ti preoccupare, anzi, scrivimi pure in inglese: per me è lo stesso che per te con l'italiano, amo leggerlo e lo capisco bene, ma fatico a scrivere correttamente.
      Abbiamo un patto quindi? :)
      Grazie ancora Marisa, have a nice weekend too!

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